Striiiiiiisciiiiio, striiiiisciiiio sul terreno, illudendomi di aver percorso un'eternità. Mentre il paesaggio non è cambiato… cespugli, erbetta, foglie verdi, foglie accartocciate, humus, humus del sottobosco.

E in quello sforzo, immane, in quella fatica superanimalesca, in quell'istinto a viaggiare, mi sono scoperta emozionata di un'emozione che mai e poi mai avrei pensato potesse sorgere in me. Un'emozione che mi ha preso la gola, mi avrebbe in futuro tolto il respiro, stretta in una morsa mentre a ogni striscio rimarrà  il segno, bavoso, appiccicoso luccicante come le stelle che sono nel cielo. E capto con le antenne fuori, sintonizzate, proiettate all'ascolto del battito dei cuori cosmici,  dal mio rifugio che sono destinata ad avere dalla prima comparsa geologica a questo mondo, lo striscio bavoso per testimoniare la mia presenza su questa polvere terrestre. Ed elevo il mio canto, poetico canto di un fossile, armonioso sussurro di uno spartito d'anima, forte di un'esperienza maturata a piccoli passi, lentamente, strisciatamente, una saggezza nata dai miei errori, dalle ascese sui roveti o sulle spine di cardamonio in un campo abitato da bovini, che pascolano ritmicamente, illusi di vivere in un'agreste età dell'oro.

Sono riuscita a sopravvivere alla velocità spregiudicata della lepre e… persistendo sono riuscita a raggiungere i miei sogni, a poco a poco, mentre i giorni si alternavano e i velocisti si erano illusi di riuscire a raggiungere un traguardo che non avevano mai raggiunto e che io in silenzio ho doppiato, come redivivo Vespucci o italianissimo Colombo,  in silenzio ho doppiato, nell'infinito sono arrivata.

Ora vi lascio la mia filosofia in un tempo che dal futurismo ha deificato la Velocità, quella continua accelerazione che porta a conseguenze estreme di riuscire a illudere chiunque di essere un vincitore e… povero stolto! Di essere riuscito a raggiungere una meta che poi si è rivelata un Nulla.

Io sono rimasta fedele al ritmo della lentezza, la lentezza che mi ha portato invece a vedere cose omeriche, a saper raccontare, con occhi cuciti dall' egoistica competizione di un tempo non Infetto, che il velocista non aveva mai guardato e che nella sua folle corsa aveva sperimentato,  perso e dimenticato.

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