Il suo corpo stava disteso immobile, non si lavava da giorni perchè non ne aveva la forza. La sua spalla destra era diventata un'enorme deformità, che le impediva di muoversi, come un "The elephant man" di Lynch, in versione felina. Non riusciva ad inghiottire nulla, né cibo né acqua, altrimenti si sentiva ancora peggio e vomitava tutto quel poco che riusciva ad ingerire, in una pozza di informe liquido giallastro. Le era successo anche quando era umana in certi periodi, nei momenti in cui era depressa. Ma ora era alle prese con qualcosa di diverso : il decorso della malattia e il sopraggiungere della morte. I suoi occhi erano socchiusi e velati da una strana patina bianca, quella simile alla cecità. La vita ormai la stava abbandonando e non poteva più lottare.
Si sentì mancare e aveva il pelo bagnato dalle lacrime del suo padrone che l'aveva amorevolmente accolta nella sua casa.
“No Milù, ti prego non morire resta con me, ho bisogno di te!”, la implorava il suo padrone, che provava a darle dell'acqua nella solita ciotola arancione, ma lei la respinse con una vigorosa zampata, imprimendo in essa tutte le poche forze che le erano rimaste.
“Non andare, non andare, ti prego!”, le ripeteva Angelo che era come in trance, senza rendersi conto di quello che stava succedendo. Lei avrebbe voluto rispondere che sarebbe rimasta volentieri con lui, ma le forze del destino avevano in mente un altro progetto per lei, e non poteva imporsi, doveva semplicemente abbandonarsi al corso degli eventi. “Addio”, le disse, e le sue parole si tradussero in un ultimo debole miagolio, provenire dalla sua morente, e tanto amata gattina.
Morì, ed Angelo se ne accorse dopo aver osservato per ore ed ore il suo respiro indebolirsi fino a divenire un piatto segnale di morte, inequivocabilmente espresso dal suo ventre immobile. La avvolse in un lenzuolo bianco, poi la pose in una cesta e la gettò nell'Arno. “Riposa in pace!”, fu l'ultima cosa che le disse. La gatta fluttuava sul fiume nella direzione dell'aldilà; sembrava serena.
La gatta si risvegliò nelle sue spoglie umane, su un letto di un ospedale. Allora era stato tutto un sogno, o un incubo? No era tutto reale. Davanti a lei scorse la figura di Riccardo che le teneva una zampa, o meglio quella che ora poteva ancora chiamare una “mano”. Si osservò nelle sue rinnovate sembianze umane e per un attimo si sentì felice; poi sopraggiunse la tristezza e la malinconia d'aver abbandonato il suo vecchio stato. Non sarebbe più potuta stare accanto ad Angelo.  "Eleonora, finalmente ti sei svegliata", disse Riccardo con un sorriso beffardo a metà tra il sollievo e la soddisfazione. Quel ghigno che non riusciva a nascondere, derivava dal fatto dell'aver portato a termine la sua maledizione, ma essa non era ancora finita.
"Che..che cosa mi hai fatto?", rispose Eleonora ancora intontita dallo stato vegetativo, a cui ormai sottostava da tre anni.
"Vedi, cara Eleonora, hai giocato con il fuoco e ti sei bruciata. Quando mi hai lasciato, ti ho lanciato una maledizione, per tre anni ti ho trasformato in un gatto, mentre il tuo corpo umano è giaciuto in quest'ospedale, in coma. Ora il tempo della maledizione è giunto al termine, ed eccoti qui...Io volevo solo farti sentire che cosa vuol dire amare, e non poter essere corrisposti. Spero tu abbia imparato la lezione.” Sentiva in sottofondo “All cats are grey” dei The cure, il suo gruppo preferito. Ma perchè proprio quella canzone, una strana beffa del destino? No, era stato Riccardo.
"Sei un bastardo, ma in fondo ti capisco Riccardo, mi sono comportata da stronza. Si l'ho imparata la lezione. Ho amato Angelo, ma lui non poteva corrispondere il mio amore, nelle mie sembianze da gatta. Lui amava una certa Clara. Ora so come ci si sente, perdonami..."
Arrivò Angelo, l'infermiere e Riccardo si dileguò. Eleonora ebbe un sussulto, era proprio lui, il suo amato Angelo, era identico a come l'aveva conosciuto nella sua seconda vita da animale. “Eleonora, finalmente ti sei svegliata!”, l'abbracciò con le sue calde braccia che ben conosceva, e lei arrossì. “Angelo, ma che è successo, perchè sono qui e chi è Clara?”. Angelo la guardò esterrefatto con il mento che quasi si staccava dal suo bellissimo volto e disse “oh Dio, tu hai ascoltato tutto! Clara è la mia gattina che è morta da poco...Durante il tuo coma te ne ho parlato a lungo, non posso credere che tu ne ricordi, allora sentivi tutto!”
”Si ho sentito tutto. Soprattutto le tue poesie. Forse sono state queste ad avermi risvegliata, leggimele ancora, ti prego!”
”Si, la mia ultima poesia si chiama Milù..una gatta che ho sognato recentemente, la vuoi sentire?”.
“Si, anche se la conosco già a memoria”
Riccardo era nascosto dietro la porta, ed aveva ascoltato tutta la conversazione. Colpì anche Angelo con quei riti magici che aveva già usato con la sua ex-amata : cadde morente e non si risvegliò più. Eleonora cercò di rianimarlo invano e bagnò il suo corpo di lacrime così come lui aveva fatto sul suo corpo da gatta; Riccardo le si precipitò davanti di nuovo e le disse : “questa è la tua vera maledizione. Ogni uomo che amerai morirà, quindi non potrai più amare nessuno, addio mia cara”.  Sparì, per sempre. Eleonora rimase inerme, con gli occhi sbarrati; il corpo di Angelo era disteso accanto a lei su quel freddo pavimento d'ospedale. Lo scosse, gli fece la respirazione bocca a bocca; provò di tutto, ma fu inutile. “Le nostre anime si incontreranno di nuovo”, gli disse, e poi si sentì morire anche lei, ma per sua sfortuna rimase ancora in vita, anche se, tra le braccia cadaveriche di Angelo, pensò :  “una vita senza poter amare, è uguale alla morte”.

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