Il pacchetto di sigarette sulla scrivania non c'è più. Solo un laptop spento, una tazza di buon whisky e un paio di libri. Non serve nient'altro a uno scrittore, nel suo orario di ufficio. Un tempo sarebbero servite anche le sigarette, che ora non ci sono più: stavano bloccando la creatività in un cumulo di cenere e fumo biancastro.

Accendo il computer, controllo la posta elettronica: nessun segnale. Tiro un sospiro di sollievo, allungo la mano in cerca di qualcosa. Ah, è vero... ho smesso ormai!, penso poco dopo. Avvio una playlist musicale jazz-classica, lusso che gli scrittori dello scorso secolo non si potevano permettere; apro i libri come se fossero loro a dovermi suggerire le parole da scrivere e avvio Word. Nuovo documento. Pagina bianca.

Non so ancora cosa scrivere, chiudo gli occhi e mi immagino in Medio Oriente, ma penso ci abbiano già speculato fin troppo sopra; allora continuo verso l'Australia, ma non riesco ad immedesimarmi nel posto, non la conosco abbastanza bene; vado ancora avanti e faccio il giro del mondo, il mio mondo, con gli occhi chiusi alla ricerca di una buona storia da raccontare. Non riesco a trovarne nessuna.

Riapro gli occhi, cerco con lo sguardo le sigarette. Dopo un paio di secondi mi do dello scemo, non ricordo mai di aver smesso di fumare. Mando giù un sorso di whisky e prendo uno dei libri lì sopra: Resto qui, di Marco Balzano. Altro argomento inflazionato da troppi scrittori. Do un'occhiata veloce al suo interno, annuso le pagine, scuoto la testa e lancio il libro dietro di me; accidentalmente ho colpito una bottiglia di vetro, vuota, che cade a terra.

Mi alzo, mando giù il whisky ed esco fuori: là fuori è pieno di storie, devo solo trovarle in ogni tazzina di caffè, in ogni locale di questa città.

Ecco l'illuminazione: gatto nella savana inseguito da un giaguaro. Il giaguaro muore.

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