Semaforo rosso! Piove.

 

I tergicristalli oscillano ipnotici.

Il motore, al minimo, fa le fusa.

Un grigio vuoto.

La radio trasmette un concerto di classica; autore “Franz”, direttore “Herbert ”.

La conosco! E’ di una volgarità rozza, ma ha il potere di sedurmi.

Ben altro sono le opere di “Ludwig”. Razionalmente lo so, ma questa di “Franz” mi rimescola l’animo.

 

Rosso! Piove.

 

Perché non fare quel gioco che inventai da ragazzino?

Ma si! Chi se ne frega.

Accetto l’ipnosi e mi lascio andare al flusso della musica.

Vedo con l’immaginazione e lascio la mente reagire in sintonia con le note.

Ecco il crescendo. Arriva, arriva, ah! Un infinito, vertiginoso prato verde.

Ecco l’adagio.

Ora plano su un maestoso fiume di acqua azzurra.

Riesplode il crescendo, aaaah! Mi toglie il fiato.

Un esercito immenso emerge da dietro le colline ed invade la pianura.

Pianissimo! Un deserto sconfinato, silente e nobile.

Un senso di languore mi pervade.

Ricordo quando quel giorno, io dodicenne, facendo lo stesso gioco, avevo sperimentato un viaggio usando l’equazione “OLTRE” .

Come una infinita matrioska mi ero immaginato il contenitore contenuto nel contenitore che è contenuto.

Universi compresi in universi dentro altri universi.

Perché, adesso, non invertire il viaggio?

Nuova equazione: “ENTRO”.

Inizia il viaggio e la musica diviene remota. Si affievolisce e scompare.

M’immergo in uno spazio turchino privo di riferimenti.

Poi, man mano mi vengono incontro figure, sensazioni e odori. Alcune sono percezioni a me note, volti e fatti della mia vita, caposaldi della memoria. Altre mi sembrano inedite, forse risorse del subconscio.

Ad un tratto una di queste figure si rivolge a me.

E’ me stesso a dodici anni.

Capisco che è(sono) in viaggio nella direzione opposta alla mia(sua) da quel giorno del gioco. Con espressione sgomenta, che mi intenerisce, cerca(cerco) di impedirmi(impedirsi) di proseguire nell’ENTRO.

Allontano da me la figura con ferma gentilezza.

 

Proseguo.

 

Ecco un riferimento nell’azzurro, un punto di vuoto d’un nero assoluto. Là sto andando. Lo spazio, che mi circonda, si raccoglie dietro di me in forma di vortice.

 

Ormai è una caduta.

 

Una nuova presenza, la più struggente, me stesso a due anni. La sfioro appena.

Ora i seni enormi, saporiti di latte di mia madre mi avvolgono e turbinando con tutto il resto giungono con me sulla soglia del nero orifizio, poi, una dolcezza infinita!

 

Verde! Piove.

 

Andante con moto, “Herbert” è all’apice, perfetto e grandioso.

Qualcuno, imprecando sotto la pioggia, apre la portiera sinistra dell’autovettura.

Tace sorpreso.

Sul sedile del pilota, vestiti da uomo vuoti e , sotto i pedali di guida, scarpe inglesi con calze.

 

Dalla radio applausi .

 

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