“Cinque matti al servizio di leva” era un film in programmazione negli anni 70, nel quale i protagonisti (les Charlots) ne combinavano di tutti i colori. Ebbene, posso tranquillamente sostenere che  all’Ospedale militare di Alessandria non eravamo da meno, ce n’era per tutti e per tutti i gusti, dalle analisi delle urine della suora che denotavano presenza di spermatozoi (volutamente alterate), all’involontario gavettone subito dal  colonnello medico, per finire a quei poveri militari ricoverati spesso vittime di noi commilitoni in servizio presso l’ospedale. E proprio uno di questi ultimi una sera fu la nostra  vittima designata, un giovane allievo ufficiale di colore dell’Accademia Militare di Modena ricoverato per una ferita di baionetta alla coscia durante una esercitazione. Il giorno del suo ricovero scoprimmo al momento del prelievo di sangue  per le analisi di routine, che era terrorizzato dagli aghi e siringhe, tanto da  mettersi il lenzuolo sopra la faccia   per non vedere l’ago entrare nel braccio, per poi riscoprirsi tremante di paura. Una sera al termine della cena, dopo che la cerbera suor Prassede se ne andò alla casa delle suore nell’altra ala dell’ospedale, con la complicità del commilitone di servizio presso l’infermeria, indossai il camice bianco del colonnello medico e un altro commilitone quello del tenente medico e, preso il carrello adibito ai prelievi del mattino colmo di provette e siringhe, ci  mettemmo il “grosso siringone” per i lavaggi auricolari e ci avviammo in reparto per “visitare i ricoverati”. Il rumore delle provette che vibravano sul carrello in movimento fece voltare la testa dei pazienti nella nostra direzione, compresa quella  del nostro allievo ufficiale che già vedevamo agitarsi man mano che ci avvicinavamo al suo letto. Giunti davanti a lui, lo vedemmo rannicchiato talmente sotto le coperte da far intravedere solo il naso e gli occhi. A questo punto facevamo già fatica a trattenere le risate. “Vediamo questa ferita” gli dissi mentre il falso tenente gli scoprì la gamba offesa. L’allievo ufficiale diresse le due mani verso la coscia come per proteggerla, mentre io cominciai a palparla leggermente per alcuni secondi per poi dire al tenente: “Procediamo” e questi prese prontamente il grosso siringone tra le mani. Fu un attimo. Il povero allievo di colore scese dal letto zoppicando vistosamente e fece per fuggire gridando: ”Noo, quella siringa cammello, siringa cammello!” Scoppiammo in una fragorosa risata alla quale si aggiunsero alcuni pazienti che, avendoci riconosciuti, avevano seguito la scena divertiti.  Lo raggiungemmo che aveva già raggiunto le scale e ce ne volle per convincerlo che fosse tutto uno uno scherzo , pian piano lo riaccompagnammo al  suo letto, dove si ricoprì di nuovo con il lenzuolo fino al naso. Rimanemmo con lui fino a che non riuscimmo a strappargli  un sorriso ed essere sicuri che tutto fosse tornato alla normalità.  Il mattino successivo, durante la visita del “vero” colonnello medico, questi notò che la fasciatura alla gamba  aveva una piccola macchia rossa di sangue, probabilmente dovuta allo sforzo della tentata fuga della sera precedente , ma il nostro allievo ufficiale si guardò bene   dal rispondere alla domanda del medico del “perché   ci fosse del sangue”, facendoci l’occhiolino quando questi passò a visitare il paziente successivo,  ricevendo in risposta da parte nostra il pollice  in su in segno di OK.  Grande!

 

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