Wilma doveva incontrarsi con la sorella per andare in centro a fare spese. I suoi le lasciavano metà della paga che poteva spendere come voleva. Chissà se la signora inglese mi avrebbe lasciato qualcosa. <<Ecco mamma, questi sono i soldi. Mi lasci qualcosa ? >>
<< E come faso a lasarte i schei a ti che ghemo tanto bisogno. Le calse te le compro mi e te do dosento franchi se doman te ve a balare da Bandera >>.
Duecento lire. Cento per il Juke box e cento per un'aranciata. La mia festa era tutta lì. Potrebbe sembrare una situazione triste ma non lo era. Il mio carattere mi porta ad essere sempre di buon umore e nella balera avrei incontrato i miei amici e mi sarei divertita con loro. Eravamo poco più che bambini e bastava poco a farci felici. La mancanza di denaro non era un problema. Si ero felice. Felice di vivere, vedevo tutto con ottimismo, non mi mancava nulla e i miei piccoli desideri si riducevano ad un albo di fumetti o un libro che potevo avere anche gratis.
Passarono circa nove o dieci mesi da che mi avevano assunta e fra mille difficoltà per tenerli a bada, riuscivo lo stesso a sopravvivere. Un giorno Marino che era il più vecchio mi si avvicinò e mi chiese esplicitamente di andare a letto con lui descrivendomi tutte le cose che mi avrebbe fatto e che mi sarebbero piaciute. Trattenni a stento di vomitargli addosso tutto lo schifo che provavo. Io non avevo ancora compiuto quattordici anni e lui ne aveva più di sessanta. Riuscii a liberarmene ma era un incubo ogni volta che dovevo lavorare con lui.
Si tirava avanti alla meno peggio tra il disgusto e la fatica.
Un giorno ricevemmo la visita di una signorina che si presentò in pompa magna. Era la fidanzata di Sesto ed era in visita alle cognate. Si salutarono cordialmente con tanti sorrisi falsi e cortesi e ci guardò Wilma e me come se fossimo due insetti. Simpatica del tutto degna del futuro sposo che era falso, viscido, verme che sia mai esistito sulla faccia della terra. Con Sesto avevo un rapporto di distaccata indifferenza e saperlo fidanzato mi tranquillizzava un po' anche se con quella gente non si poteva mai stare tranquilli.
Un giorno Quarto mi dice: << C'è da vuotare il tamburo delle lime. Vai ad aiutare Sesto che è già li con le ceste >>.
<< Vado >>. Senza tanto entusiasmo entro nella stanza dei tamburi che è piuttosto buia e l'uomo è lì che mi spetta con un ghigno sulla faccia che non mi piace per niente. << Vieni qua >> tenta di afferrarmi e mi divincolo senza riuscire a liberarmi. Mi butta sulla segatura e tenta di tutto, di baciarmi di togliermi i vestiti e intanto si sbottona i pantaloni. Le sue mani sembrano moltiplicarsi e la sua forza è superiore alla mia. Mi divincolo come posso e quando non so più come liberarmi uso l'arma che più mi è congegnale: le mie unghie, corte e fortissime. Non guardo dove colpisco ma dalla sua faccia squarciata esce un rivolo di sangue. << Brutta bastarda d'una puttana, mi hai sfigurato >>. Mi urla, ma si alza perché gli ho fatto male davvero. Esco di corsa. Dietro di me lui continua ad imprecare. Gli altri mi guardano con disprezzo e Quarto mi manda via in malo modo. << Ti sei giocata tutti i lavori in città. Non ti vorrà più nessuno >>. Anche Wilma mi guarda con commiserazione e capisco una cosa, secondo la loro mentalità sporca e depravata avrei dovuto lasciare che mi violentasse senza reagire.
Mentre camminavo verso casa tremavo tutta e non sapevo cosa dire a mia mamma o come giustificare di aver perso il lavoro. Mi accolse la badessa di un convento. << Te ghe fato male a sgrafarghe la facia. Te dovivi urlare, ma cusì te si pasà dala parte del torto, ciò >>.
Gazie mamma, è un piacere poter contare su di te. Mi resta la soddisfazione di sapere che il cretino dovrà giustificarsi con la fidanzata e la settimana prossima andrà all'altare con uno sfregio che si porterà per tutta la vita.
E non finisce qui perché ho fatto un sacco di altri lavori quasi sempre piacevoli e non ho più avuto brutte avventure.