«Vengo a prenderti stasera / sulla mia Torpedo blu».
Azzurro non ce l’aveva, la Torpedo, tantomeno blu, ma non importava.
Anzi, era meglio così.
Se l’avesse avuta sarebbe stato perfetto, e lei si sarebbe sentita in colpa per quel neo troppo grosso, o per i polpacci un po’ troppo muscolosi per una signorina dabbene, che risaltavano quando la gonna – anche se era la gonna del vestito bianco di nonna – risaliva lungo la gamba.
L’imperfezione di Azzurro – che naturalmente non si chiamava “Azzurro” e anche questa era un’imperfezione – avrebbe giustificato le sue.
Anzi, l’avrebbe messa in una posizione di vantaggio.
Una donna deve sempre trovare il modo di conservare una posizione di vantaggio sull’uomo che la viene a prendere, diceva la nonna.
Sospirò aggiustandosi il vestito – nonna era di due taglie più piccola e lei aveva dovuto aggiustare l’abito, ma nessun uomo – purtroppo – avrebbe notato simili piccole imperfezioni. Non al primo appuntamento.
Soffiò una folata di vento, uno sbuffo che fece frullare la tenda contro la finestra aperta, e lei si calcò un po’ di più il cappello sulla testa.
No, quel ventaccio non le avrebbe mai scompigliato i capelli. Non dopo un pomeriggio passato a metterli in ordine.
Un pomeriggio, appunto.
Adesso era quasi sera – le ingannevoli sere estive, pomeriggi che non vogliono lasciare il cielo. Resistette all’impulso di guardare l’orologio – tanto era troppo piccolo e, coi suoi occhi miopi, non sarebbe riuscita a leggerlo.
Ecco, ai tempi di nonna una signorina dabbene non si sarebbe fatta trovare sull’uscio ad attendere un cavaliere... ma quelli erano i tempi di nonna, quando i cavalieri abbondavano.
Adesso, una ragazza non poteva essere troppo schizzinosa quanto al Principe Azzurro – che naturalmente non si chiamava “Azzurro”.
Doveva tollerare alcune piccole imperfezioni.
Ma piccole, eh?
Che non si prendessero troppe libertà.
Alcuni li individuava subito: il modo in cui guidavano, il volume dell’autoradio, persino – Dio ne scampi – il tentativo di bacio sulla guancia prima ancora che lei salisse in macchina.
Quelli erano i più facili di cui liberarsi.
I peggiori erano quelli subdoli, capaci di offrirti il braccio quando scendevi gli scalini di casa, o di darti del “lei” per tutta la durata della cena.
Ma c‘erano trucchi cui neanche loro sapevano resistere. Bastava osservare come si dilatavano i loro occhi quando lei, usando “quel” tono, li invitava a entrare.
Si capiva subito che cosa volevano.
Che cosa volevano tutti.
E lei glie l’avrebbe dato.
Perché anche una signorina dabbene ha le sue esigenze, dopotutto.
Erano solo... sì erano solo alcune piccole imperfezioni cui si poteva rimediare con sega, martello, tanta acqua, tanto disinfettante e soprattutto tanto, tanto olio di gomito. Alla fine, la casa sarebbe tornata linda e pulita come si conviene alla dimora di una signorina dabbene.
Una magione candida in mezzo ai campi di grano, oltre il bosco. Una casa col tetto rosso e le tende celesti, dal porticato ampio e ombroso nella vampa d’estate, pronta per accogliere il prossimo Principe Azzurro.
Il problema era che, dopo, si doveva tenere aperta la finestra un sacco di tempo, per fare andare via la puzza.
 

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