Allora bestemmiando ancora nascose tutto il sale nero dietro alla supposta. Carlo era ancora nero e camminava su e giù per il giardino, tirando calci alla siepe, bestemmiando, maledicendo il ragazzo e un poco piangendo. andiamo, s’intromise tra lui e la siepe mattia. Carlo allora si girò affranto verso i due e disse che li avrebbe aspettati fuori, che loro potevano pure scendere e mandargli su sofia. sì ditele di venire un attimo di sopra a parlare con me, le voglio parlare. mattia per sicurezza si controllo in tasca. il coltellino c’era ancora, ok adesso te la mandiamo su, ma tu non fare altri casini. 

Sofia uscì dalla porticciola in vetro e vide Carlo vicino alla grondaia, mentre guardava a terra la supposta. con sguardo serio gli chiese cosa volesse e di fare veloce che tra poco sarebbe dovuto toccare a lei. lui alzò lo sguardo lentamente, controllandone il tremore e cercando di tenere gli occhi il più secco possibile. tu non hai niente da dirmi? Sofia era ancora alla porta, no, cosa dovrei dirti? Carlo rise, davvero? sembrate molto amici tu e quel tipo. la ragazza allora incominciò ad andargli incontro. ma cosa stai dicendo amore. cosa dico? cosa dico? non lo so, cosa dovrei cazzo dire dopo che lui ti si incula davanti a me sul tavolo da biliardo? concludendo la frase con un altro calcio alla supposta-saliera sotto di lui. porco dio. questa allora cadde ancora a terra, spargendo sale ovunque, rivolta con la punta contro di lei. ma amore mi stava solo spiegando come giocare. certo infatti io non ho visto come vi guardavate; porca troia sofia ma che cazzo fai; come cazzo puoi; io lo ammazzo quel figlio di puttana e tirò un altro pugno al muro. amore basta gli rovini casa. ‘amore basta gli rovini casa’ che cazzo fai adesso? sei preoccupata per casa sua ora? ma porco e l’accendino ancora in mano, lo scaraventò con tanta foga da farlo esplodere per terra. o almeno era l’esplosione che entrambi si aspettavano dopo quel lancio, ma il destino colse entrambi impreparati. l’accendino andò ad impattare al suolo, proprio affianco alla supposta arrugginita. si da il caso che tale oggetto misterioso altro non era un cimelio di guerra del bisnonno paterno. dalla divisione di artiglieria sul carso, dopo la guerra aveva riportato a casa un ‘attrezzo del mestiere’ come ricordo, la guerra, probabilmente, non l’aveva vista abbastanza da volersene dimenticare. la camicia in ottone, dopo 100 anni quasi, era stata mangiata dalla ruggine e dopo i calci di Carlo aveva ceduto ad una piccola crepa, da cui ne era uscita un po’ di polvere, erroneamente scambiata per sale.  l’accendino gli esplose affianco e quel calibro 75/911 mm detonò. l’ogiva schizzò via per il porfido sconnesso del marciapiede sotto il portico, prese la traiettoria d’una increspatura e s’alzò. ancora inconsapevole sofia venne sventrata in due, mentre il pezzo di piombo continuò a correre oltre alla siepe. il bossolo enorme invece iniziò a roteare sul giardino, bruciando incandescente l’erba e schivando per poco Carlo, che intanto per l’esplosione cadeva col culo per terra. fu quella piccola crepa a graziarlo, facendo da propulsore laterale per quella navicella che altrimenti gli avrebbe tranciato un piede; la stessa per cui ora Sofia giaceva a terra, guardandosi la suola delle scarpe dal marciapiede, su cui era poi ricaduto il suo busto; non riuscendo a capire come fosse possibile e non avendone neanche il tempo per farlo. 

Carlo ripresosi si alzò stordito da un forte fischio alle orecchie e in piedi vide Sofia divisa a metà. qualcuno uscì dalla porta sbattendola. era il ragazzo.  

si guardavano negli occhi, mentre Carlo cercava di trattenere quello che al ragazzo pareva una risata.

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