Orario estivo in vigore, dice la voce guida della MM1. Carrozze prese d'assalto. Sempre più frequente l'usanza, tutta meneghina, di azionare l'aria condizionata quando all'incirca la metà dei passeggeri ha già alzato bandiera bianca. Stesso trattamento, in pieno gennaio; con -11 gradi in superficie, e altri due, tre in meno all'interno dei vagoni. Mal che vada si viene considerati cavie da laboratorio per la cryostasis. Milano, come certe compagnie telefoniche, è sempre un passo avanti. Rimane il problema dell'accesso entro vagoni stipati; talmente colmi che con le dovute e riconosciute distanze, l'assonanza con il tristemente noto Binario 21 viene naturale. Preso il dovuto coraggio, e la necessaria rincorsa, sfondo le linee nemiche appostate proprio all'entrata delle sliding-doors. Nugoli di combattenti si sfidano in cagnesco con sguardi truci, funerei: l'ambizione ultima è il posto, proprio sotto lo sfiatatoio del condizionatore. Da non belligerante per natura, osservo, il più delle volte con distacco e divertimento, questa routine quotidiana di mediocrità urbana. Poi, una volta preso possesso dei miei 45 centimetri alla seconda e lottando aspramente per mantenere il sudato lebensraum, con rassegnazione vengo avvolto da uno scampanellio, prima, da un trillo poi. Per chiudere con una rassegna musicale che spazia dall'heavy-metal più canonico, sino alle toccate (con fuga) di Bach. Iniziano così una serie di conversazioni, tra le più generiche, inutili e ininfluenti che orecchio umano, il mio, possa ascoltare. Il viaggio, il mio viaggio, è iniziato. Una delle lampade di posizione perde di potenza. Ma la carrozza, in ogni caso, è illuminata a giorno dalle luci fluorescenti dei dispositivi hi-tech più in voga. Con fatiche degne di Ercole rivolgo lo sguardo verso il centro del vagone: è un'apoteosi di Kobo, Kindle. I-Pad di ultima generazione. Cellulari di ogni formato, dimensione e colore. Preso dallo sconforto per le mie note deffaillances in questo ramo decido, dopo due fermate, di osare l'inosabile: penso che in casi come questi serva un gesto RIVOLUZIONARIO. Un gesto che possa essere ricordato anche tra  molti anni. Secoli, addirittura, azzardo tra me. Mi guardo attorno, non senza circospezione. Una giovane ragazza comincia a scrutarmi. Forse ha capito quello che ho intenzione di fare. Apro delicatamente la mia borsa a tracollo; vi infilo la mia mano destra. Cerco al suo interno non senza difficoltà. Sembra che d'un tratto l'attenzione si sia spostata su di me, sulla mia mano. Sulla mia borsa. La ragazza spegne in ordine il suo I-Pod, chiude il suo Galaxy e pur non disponendo di una terza mano, riesce con mia somma sorpresa a sconnettersi da Facebook con il terzo mobile-device ultrasonico che gestisce all'unisono insieme all'I-Pod. Un croupier non avrebbe potuto fare di meglio, penso. Poi lo estraggo: LA PESTE di Albert Camus. Un libro.  La tizia super tecnologica mi guarda con pietà; una vecchietta di fronte estrae il suo Notebook quasi irridendomi. Un attempato professionista, abbronzato come  Adriano De Zan in dicembre, mi addita quasi fosse un sovversivo. A questo punto sono al centro, mio malgrado, di un'attenzione indesiderata. Chi stava telefonando continua il suo colloquio spostando l'argomento sul sottoscritto:”figurati, c'è un tizio...si...si un poveretto...uno che non ce la può fare...ma si insomma..renditi conto...ha un libro in mano..Cioè, non so se mi spiego...Un libro..Roba da medioevo..”
Poco distante dal mio osservatorio non privilegiato una ragazza cingalese chiama il 113 preoccupata della situazione che si sta creando. Chi addirittura richiede l'intervento dei Nuclei Anti Sofisticazione. Chi vuole i Ros. E chi ,“nostalgicamente” ambisce ad un intervento della Decima Mas. Incredulo comincio a boccheggiare. Ma non demordo attacco un nuovo capitolo nella città di Orano invasa da topi e da gente mediocre. Leggo di Monsieur Cottard, del signor Grand. Giro facciate, divoro qualche pagina. Mi immedesimo negli abitanti di quel villaggio martoriato da una peste che diviene metafora della peste che affligge il nostro vivere di oggi. Si genera  una calma apparente entro il vagone. Sembrano tutti assorti, tutti consapevoli. Forse hanno colto il senso del gesto. Forse. Due fermate di assoluto e rispettoso SILENZIO. Le porte si aprono. Scendo dalla carrozza: un bimbo mi sorride, la madre con pudore accenna anch'essa un timido sorriso. Ricambio con piacere. Sfioro il capo del piccolo, e porgo il volume alla giovane madre. Stupita, dapprima con formali convenevoli sembra non accettare il mio dono; poi il volume passa dalla mia mano alla sua. Nella carrozza, intanto, il silenzio permane. Le porte si chiudono dietro me. Come spesso capita, poi, si riaprono per l'ultimo ritardatario rimasto con una parte del corpo sulla banchina della stazione, e l'altra parte, pronta a partire per la stazione successiva: Bach, gli Iron Maiden, e miriadi di suonerie riprendono a viaggiare. Verso le loro assenze.

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