Si chiamava Marco. Viveva con i genitori in una casa in un piccolo paese della provincia di Modena. Da quasi un anno non lavorava. Dopo che l’avevano licenziato, aveva smesso di seguire orari, impegni, calendari e le giornate si erano fatte lente, quasi avessero assunto densità. Si svegliava presto alla mattina, anche se aveva ben pochi impegni. Si preparava un caffè e beveva un po' di latte, rimasuglio in frigo. Alle sette meno un quarto era già a fare jogging sull’argine di Secchia. Di quella corsa ne aveva bisogno come l’aria oltrechè: i neuroni funzionano meglio, dopo una bella corsa. Com’è il detto latino? Ah sì: corpore sano in mens sana o era mens sana in corpore sano… ecco. Avrebbe controllato a casa e si sarebbe tolto lo sfizio di reperire la fonte della citazione. Gli piaceva molto leggere, era onnivoro: leggeva dai classici greci e latini alla letteratura russa, tutto, bastava fosse carta con qualcosa di stampato sopra.

Ultimamente aveva preso a leggere dei gialli. Lo intrigavano un sacco ma dovevano essere scritti bene, come piaceva a lui. Di sicuro dovevano avere una trama ben congegnata alla maniera della detective story anglosassone ma con l’aggiunta di un po' di azione, il tutto con un tocco di ironia che non guastava mai. 

Aveva cominciato un giallo che pareva rispondere a questi gusti, l’autore era un certo Piero Rossi e raccontava delle investigazioni sui generis fatte da un libraio il quale aveva una passione smodata altrettanto forte sia per i romanzi gialli che per i gatti. La libreria l’aveva chiamata, in onore dei gatti, “I gatti neri” ed era tutta dedicata alla letteratura gialla. La cosa che più lo colpiva era il fatto che un libraio qualunque potesse suggerire delle piste di investigazione ad un commissario… e chissà che anche lui non potesse fare altrettanto, si chiedeva. Non conosceva nessuno scrittore di gialli che avesse finora scritto un romanzo il cui investigatore, come il librario, potesse indagare in casi di omicidio.

Da un po' di tempo di fronte a casa sua c’era un cantiere di una casa in costruzione e volente o nolente questo era il paesaggio che gli si presentava non appena alzava gli occhi dal libro. 

Un tempo il cantiere pareva abbandonato, ma da qualche mese aveva notato un’attività regolare. Due uomini ci lavoravano. Uno alto e magro, taciturno, con la schiena sempre dritta. L’altro più robusto, tarchiato, con folti baffi neri e uno sguardo sveglio. Li osservava ogni mattina come fosse un rito. 

Non sapeva i loro nomi, così li aveva battezzati: il Magro e il Baffo. Arrivavano sempre alla stessa ora, silenziosi, e se ne andavano nel tardo pomeriggio a bordo di un furgone bianco. 

Gli davano l’illusione che, anche se tutto dentro di lui si era frantumato, qualcosa là fuori ancora teneva insieme i pezzi del mondo.

Una sera d’inizio ottobre, mentre il sole calava e il vento faceva tremare le ultime foglie sui platani, notò qualcosa di strano. Il furgone partì, ma solo il Magro era al volante. Il Baffo non si vide.

Aspettò il giorno dopo. Nulla. E quello dopo ancora. Vedeva solo il Magro, ogni giorno, e pareva che il Baffo non fosse mai stato in quel cantiere ed anzi era come se non fosse mai esistito. Era una faccenda strana, e pensò al personaggio del libraio del romanzo giallo che stava leggendo: chissà cosa avrebbe pensato di quella situazione? E se avesse fatto qualcosa. 

Un giorno prese un binocolo e dalla finestra di casa sua si mise a guardare il cantiere. Era incredibile quanto potesse cambiare la visione con il binocolo di quello che vedeva era come se fosse là tanto era potente l’ingrandimento. Ma nulla, anche guardando col binocolo non si vedevano tracce del Baffo neppure attraverso le aperture delle porte e delle finestre sulla gran parte degli ambienti interni. Ecco ora era tale quale a James Stewart in “La finestra sul cortile”, la situazione era identica in tutto per tutto: James, come affettuosamente lo chiamava, tradendo una sua passione cinefila, ad un certo punto si accorge che la moglie di un uomo che abita in un appartamento di fronte al suo, sparisce. Si accorge anche che durante la notte mentre infuria un temporale, l’uomo ha trasportato fuori da casa una grossa cassapanca…

Ma poi, domanda ancora più importante, cosa c’era di strano nel fatto che un operaio che fino a quel giorno aveva sempre visto lavorare al cantiere tutto d’un tratto era scomparso? Si potevano addurre mille ragioni della sua scomparsa, forse se n’ era andato la sera quando lui era a cena e non poteva vederlo. Oppure stava bivaccando in una delle stanze interne che davano sull’altro lato della casa, e il Magro segretamente gli portava da mangiare, ma non aveva visto nulla che potesse far pensare a contenitori per il cibo. Quindi scartò subito quest’ipotesi. 

L’assenza del Baffo divenne, nei giorni seguenti, un’ossessione. Ogni giorno si affacciava prima, scrutando il cantiere, cercando quel volto familiare. Ma non c’era. Il mondo sembrava averlo cancellato.

Dopo una settimana, spinto da un’inquietudine crescente, aspettò il Magro sul ciglio del marciapiede. 

«Scusa» gli disse, cercando un tono neutro, «il tuo collega... quello con i baffi?»

Lui si voltò lentamente. Lo fissò con occhi imperscrutabili.

«Collega?» rispose. «Lavoro da solo».

Si sentì sudare freddo. «No, vi ho visti. Lì. In due. Per settimane».

Lui scrollò le spalle, appena, e proseguì. La sua risposta era fredda, definitiva. E si ritrovò solo, tremante, con la sensazione che qualcosa stesse scivolando via dalla sua mente.

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