“Vedrai,” mi hanno detto gli amici, “prima o poi incontrerai una Clorofilladinia. A chi va ad abitare vicino al Secchia può capitare.”

Ed eccola qui. Sale da me, entra in questa stanza passando dalla finestra. Non l’ho sentita sulle scale, e così oggi la conosco per la prima volta. L’ho vista attraversare il ponte sul fiume, e ho subito pensato che dovesse essere una Clorofilladinia: quel viso dai riflessi verdognoli e trasparenti non lasciava dubbi.
Ma non avrei mai immaginato che sarebbe venuta proprio da me.

Ha l’aspetto di una ragazza di campagna: occhi chiari, un pullover verde, le trecce che ricadono su una gonna scozzese, una sciarpa giallina sul petto, guanti di lana ornati da piccoli fiorellini rossi. Non posso rivelarne le sembianze, i tratti somatici, né tantomeno il nome — neppure in questo diario. Qualcuno potrebbe scoprire chi è davvero una Clorofilladinia.

Ora la vedo da vicino, le parlo, l’ascolto. Seduta sul divano, si abbandona ai racconti. Parla una lingua strana: all’inizio non capisco nulla, poi, d’un tratto, quasi per incanto, ogni parola mi appare chiara e significativa.

Intanto avverto un odore insolito: terra umida, foglie bagnate dalla pioggia. All’inizio mi pare provenire dal giardino, ma l’odore si fa più intenso, e capisco che proviene da lei. Quando si sfila i guanti, vedo. Le dita delle mani sono sottili e lunghissime e, mostrano sotto la pelle, vene attraversate da una sfumatura verde, come un sangue verde che pulsa.

È allora che comprendo. Le dicerie, le leggende, tutto ciò che si racconta sulle creature del fiume Secchia non sono che un’eco lontana di una verità più antica. La Clorofilladinia non è una ragazza. È una pianta. Una pianta che cammina, respira come noi, e parla anche la nostra lingua.

Osservo meglio. Sul bordo del collo, dove la sciarpa non lo copre, spuntano filamenti sottili, fibre vegetali. Un brivido mi percorre la schiena, quasi mi cade la tazzina. Mi torna in mente un vecchio film dell’orrore, L’invasione degli ultracorpi, con quei bulbi che diventano esseri umani, copie perfette destinate a sostituirli.

“Parlo la tua lingua solo per il tempo che sto con te…” dice.
Poi, come se avesse colto i miei pensieri:
“Ti spavento? Guardi le mie vene?... Sono il nostro sangue, la nostra vita… quello che voi chiamate clorofilla. Non dovete aver paura di noi. Con la nostra intelligenza siamo gli unici che possono salvarvi… da voi stessi.”

“Noi non dovremmo neppure farci vedere. Ma a volte abbiamo bisogno di ascoltare la voce degli uomini, per ricordarci perché continuiamo a vivere…”

Resto in silenzio. Vederla toccare il mio tavolo, sfogliare i miei libri, accarezzare il gatto, mi fa capire quanto sia imprecisa la definizione che le viene attribuita. Ha un corpo umano, ma dice che è un corpo “in prestito”, per muoversi tra la gente senza attirare attenzione.

Nomina spesso il mare, benché non venga dal mare. Segue i corsi d’acqua, ma non li ama. Una parola ricorre nei suoi racconti, subito dopo “leggera e opaca…”. Me la affida prima di andarsene, con la promessa di non rivelarla a nessuno. Il nostro patto segreto.

Le offro qualcosa da mangiare — sto facendo colazione, ho caffè e paste.

“È molto gentile,” risponde, “ma noi possiamo prendere solo acqua, e un po’ di zucchero. Altre cose non le possiamo mangiare

“Ok.”

“Ora devo andare…”, fa ad un certo punto.

“Di già?”

“Sì, purtroppo possiamo stare e avere contatti con gli umani solo per poco tempo”

Vorrei trattenerla perché quella creatura sento può dare una speranza all’umanità. Ma non so come. Così mentre la saluto e la vedo riprendere la via del ritorno verso il fiume, sento un’ondata di malinconia. L’incontro con quella creatura è stato breve ma sufficiente a comprendere che il mondo per fortuna è fatta anche di esseri delicati e gentili come lei e questo mi conforta.

So, naturalmente, cosa si racconta sulle Clorofilladinia da quando sono state avvistate lungo i corsi d’acqua delle grandi città e persino nei canali stagnanti: zingarelle in cerca di denaro, seguaci di un culto misterioso, ragazze spaesate con propositi amorosi ben definiti. Altri sostengono che sono creature fluviali e che solo per un’ora al giorno possano assumere sembianze umane. 

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