Ugo non era fisionomista, ma era certo che quel barbone gli ricordasse qualcuno, anche se non avrebbe saputo dire chi.
Forse dipendeva dalla fisionomia, o dall'abbigliamento. Il vagabondo indossava giacca e cravatta a farfalla su un fisico mingherlino e aveva un'aria svagata, sognante, con una faccia allungata sotto un ciuffo di capelli rossi e scomposti.
Incompletezza. Ecco, questa era la parola migliore per definire la sensazione che gli trasmetteva.
Sì, al barbone mancava un pezzo. Una componente importante, essenziale forse, come se fosse privo di una parte del corpo, sebbene non esibisse protesi o arti monchi. 
Ugo se ne rese conto all'improvviso e, da quel momento, il mistero di quella familiarità lo tormentò,  quasi essa celasse unsignificato nascosto, un messaggio per lui e per chiunque.
Passò molto tempo, tuttavia, prima che incontrasse di nuovo il barbone, stavolta con la parte mancante. 
Era grasso, l'altro vagabondo, con una giacca malmessa, una cravatta troppo corta e aveva una faccia di luna piena sotto una frangetta che gli dava un aspetto  infantile.
Ugo sorrise e si rese conto di non averli riconosciuti subito, sebbene la somiglianza fosse impressionante, solo perché, fino a quel momento, non li aveva visti insieme.
Il grasso tirò fuori un sigaro e prese a frugarsi nelle tasche cercando un fiammifero, ma il magro mise il pollice dentro il palmo della mano destra, chiuse le altre dita e lo tirò fuori di scatto, fiammeggiante.
Allora Ugo girò i tacchi se ne andò fischiettando, cercando gli asini che volavano in cielo.

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