"Un tempo ti piaceva, il circo”. 

"Ma avevo dieci anni”. 

“Ne sono passati solo sette”. “

"È un sacco di tempo”. “

"Solo quando hai diciassette anni”. 

Dalla raccolta “In un tempo freddo e oscuro” Joe R. Lansdale

 

Vittorio era mio amico perché mi aveva insegnato a costruire gli aerei di carta coi vecchi giornali.
C’erano due tipi di apparecchi: quelli di forma triangolare che, per convenzione, chiamavamo “missili”, e quelli più simili a un apparecchio con ali e coda.
Tutt’e due preferivamo i secondi, anche se erano più difficili da costruire. In compenso, quando il vento era quello giusto e il lancio era uno di quelli buoni, potevano rimanere in aria a lungo.
Avevamo studiato ogni minima corrente d’aria intorno agli angoli del palazzo e trascorrevamo ore a discutere quale carta usare per costruire apparecchi che andassero più lontano o rimanessero per aria più a lungo o filassero più veloci.
Ogni anno, quando c’incontravamo durante le vacanze, passavamo interi pomeriggi a lanciarli nel cortile e quei giorni parevano lunghi quanto l’intera estate o forse quanto la vita intera.
A volte mi piace credere che fosse davvero così.
Un giorno, Vittorio mi disse che, a tempo, si sarebbe arruolato in aeronautica.
Non mi stupii, ma non dissi nulla. Dei due, ero io il più vecchio, anche se di un paio d’anni. Se pensate che siano pochi vuol dire che avete dimenticato come sia avere dodici anni.
A quattordici anni puoi guardare i film che a tredici ti è proibito di vedere, a quattordici anni cominci a pensare al motorino, a quattordici anni puoi scegliere (ragazzi, scegliere, non so se rendo l’idea) se andare a scuola o no, a quattordici anni le ragazze non sono più degli strani esseri da tenere alla larga o da prendere in giro.
A quattordici anni, insomma, cominci a mettere i piedi per terra, mentre volare, soprattutto con la fantasia, diventa un po’ più difficile. Non tanto, solo un po’. Ma è l’inizio.
Vittorio però tenne duro e, quando ebbe l’età giusta, si iscrisse davvero all’accademia aeronautica.
A quell’epoca avevo già smesso di trascorrere le vacanze al paese, e avevo già cominciato a cercare altrove la magia dell’estate, magari in qualche posto esotico appena oltre la linea di un orizzonte sempre più lontano.
Penso che, per gran parte della nostra vita di adulti, anche se segretamente, non facciamo altro.
Seppi che, durante le ferie, Vittorio faceva qualche lavoretto in fonderia.
Quando pensavo a lui – cosa che, col passare del tempo, mi accadeva sempre più di rado, senza che quasi me ne accorgessi – mi piaceva credere che, anche se non giocavamo più con gli aerei di carta, almeno lui avrebbe volato sul serio. Un volo vero, non come i viaggi in charter che ogni tanto mi capitava di fare.
Qualche anno dopo mi dissero che Vittorio aveva avuto un piccolo incidente.
Nulla di grave, anche se avrebbe potuto esserlo. Una scintilla partita da un tornio era schizzata via di colpo, con una parabola insolitamente lunga. Vittorio aveva appena finito il turno e si era levato gli occhiali e così la scintilla l’aveva colpito in un occhio. Gli avevano salvato la vista, ma non avrebbe mai potuto pilotare un aereo.
Uno dei soci della fonderia era un pezzo grosso in paese, così, per evitare rogne, gli aveva trovato un posto come messo comunale e, insomma, la faccenda era andata a posto.
O forse no, ma non ci si poteva fare niente lo stesso e quindi era inutile pensarci.
Io, per molti anni, non lo feci.


Sono passate molte altre estati, da allora e, chissà perché, mi sembrano sempre più brevi.
La prossima è ancora lontana, ma ancora non mi sarò abituato al suo arrivo che già le foglie cominceranno a ingiallire sugli alberi.
È inverno, adesso, e un gruppo di bambini intabarrati sta giocando in cortile. Il regolamento condominiale lo vieta e, improvvisamente, mi accorgo che c’è stato un momento, nel passato, a partire dal quale abbiamo usato sempre meno i cortili, le aie, le strade…
Li chiamo e quattro di loro mi si avvicinano, con la testa bassa di chi sta per essere rimproverato.
Ho in tasca la brochure di una finanziaria e, di colpo, quella carta mi sembra adatta, perfetta.
Comincio a piegarla e le mani paiono muoversi da sole, come se la memoria fosse fuggita dal cervello per andare a nascondersi nelle dita, mentre tutti i ragazzini si sono riuniti e mi osservano.
L’aereo è pronto e, prima che me ne renda conto, lo scaglio in alto con un gesto sciolto, elegante, come se la mia spalla non avesse mai avuto bisogno di linimenti, massaggi o pomate.
Il vento che è arrivato all’improvviso è quello buono, quello giusto. Afferra l’aereo, lo fa volteggiare, girare e lo porta via, lontano, fuori dalla vista.
Penso che potrebbe volare per sempre.

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