Quel giorno mi svegliai affranto: per la prima volta, avevo preso coscienza di tutta la fatica che dovevano affrontare gli oggetti di casa mia; dello sforzo che quotidianamente facevano le mensole per reggere i miei libri per 24 ore consecutive; dell’affaticamento dei chiodi per sostenere giorno e notte i quadri che affollavano le pareti di casa mia.

E senza alcuna pausa, senza la possibilità di tirare il fiato.

Che dire poi dei miei tappeti, costretti a umiliarsi, a sporcarsi di terra e polvere al passaggio di scarpe distratte? E così le pentole, le lampade da tavolo, i coltelli... Ero avvilito pensando a tanto sfruttamento e a tanta forzata rassegnazione.

Ma forse la volta che cadde la stampa di Andy Wharol o quella in cui si ruppe la tazza con cui facevo le mie tisane amarissime all’ortica, forse, vuoi vedere che...

Insomma, solo allora capii che quelli non erano stati degli avvenimenti casuali, ma dei veri segnali che io non avevo saputo decifrare.

Sì, gli oggetti stavano cercando di dirmi qualcosa.

Volevano forse mettermi in guardia per qualcosa di non ancora accaduto.

E, infatti, le cose cominciarono a precipitare quel giorno in cui, di primo mattino, spezzai distrattamente la stringa delle scarpe.

 

(Il racconto è uno dei 42 racconti pubblicati nel libro "Incipit 1")

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