UNIDENTIFIED FLYING OBJECT
Atterrò puntuale. Non poteva essere che altrimenti. Lufhtansa da sempre era all’avanguardia nel rispetto degli orari. Terminal One fu lo scalo previsto per il suo volo. Attese con pazienza i suoi effetti: un trolley nero e una valigia di piccole dimensioni variopinta e con colori sgargianti, quasi psichedelici.
Si diresse verso la tube in maniera meccanica. Assaporò odori e profumi che in passato furono anche suoi. Attese pochi minuti l’arrivo del treno; fece in fretta nel constatare le enormi differenze con quel suo (lontano nel tempo) primo arrivo. Poi entrò trovando posto tra quello che aveva tutte le sembianze di essere un rapper gigantesco di origini caraibiche e una attempata e arzilla signora che cercò di attaccare subito bottone. Discretamente rispose a tutte le domande che Miss Leary, così si chiamava, gli fece. Restando però sul vago ad ogni singola risposta. Con garbo, poi, riuscì a farla franca sulle ragioni della sua presenza a Londra.
Scese a Earl’s Court. L’aspettava un piccolo meraviglioso albergo in stile vittoriano, il Rushmore Hotel.
Alla reception un uomo dai tratti orientali, forse pakistano, lo accolse con un sorriso smagliante. Fornì le sue generalità: Harnold Laynehoffer da Amburgo.
Permanenza due giorni.
Dopo i soliti convenevoli e un aperitivo invitante si diresse verso la sua camera. Posizionò i suoi bagagli sul letto; diede un’occhiata all’esterno scostando una tenda finemente ricamata: davanti ai suoi occhi Londra la magnifica, con i suoi colori. Con i suoi nuovi profili. Guardando verso destra riconobbe un teatro, luogo di eventi, e teatrali e concertistici: l’Earl’s Court Arena. Lo riconobbe all’istante pur non avendolo mai visto personalmente, ma in virtù di ricerche finalizzate su internet. Restò alcuni secondi in balia di quella apparizione. Socchiuse la finestra e mentre il suo viso veniva irrigato da alcune lacrime disse:” sto arrivando…”.
Appena dopo mezzogiorno uscì dall’hotel. Direzione Tottenham Court Road. Prese la verde. Scese a Notting Hill Gate e da lì con la red tube percorse l’ultima parte del tragitto che tante volte aveva studiato e ripassato.
Obiettivo finale: il numero 31 di Tottenham Court Road.
Gli parve di riconobbere il punto; la sua memoria, legata a incontrovertibili ricordi, gli fece riannodare quel passato, il suo, a quel luogo. Ma del Club, di quel locale che entrò nell’immaginario collettivo di quella che fu la Swinging London, non v’era più traccia. In cuor suo sperava almeno in una targa celebrativa. Ma ne rimase profondamente deluso nel non trovarne alcuna. Costruzioni recenti e avanguardistiche avevano sopperito, e forse sepolto, il luogo ove nacque, si sviluppò e divenne famosa la psichedelia: l’UFO CLUB non esisteva più. Appoggiò sul marciapiede la sua piccola valigia multicolor. Il caldo era asfissiante, umido. Non consono per Londra. Scelse un piccolo pub sull’angolo con Oxford street. Un tizio dietro al bancone lo salutò al suo ingresso. Si diresse verso il barman. Optò per una pinta di lager. Rimase in silenzio mentre sorseggiava la sua chiara. Considerò che anche il proprietario del pub potesse avere all’incirca la sua età. Capelli radi e tendenti al grigio sulle tempie; un viso arrotondato e un corpo massiccio da ex scaricatore di porto. Fu lui a rompere gli indugi: “ è qui per affari o solo turismo, signore?” Harnold sorpreso dalla domanda repentina rispose con un distaccato:” né uno, né l’altro”. Poi scusandosi per la sua mancanza di tatto migliorò la sua risposta. Impostò come un baritono di fronte al suo pubblico la voce e disse:” devo consegnare ad un caro amico alcuni oggetti che sottrassi circa quaranta anni fa a Cambridge”. Il barista, il cui nome era Roger, incuriosito da questa bizzarria ne volle sapere di più. Allungò un baby Daniel’s al suo ospite, il quale ringraziando diede libero sfogo a ricordi e emozioni:” vede- esordì- venni a Londra per migliorare l’inglese nel 1966. Arrivavo da lontano, da Amburgo. In sostanza quasi da un paese nemico. Quasi -ridisse con tono ironico. Avevo vent’anni. Da due mio padre aveva deciso di passare a miglior vita. Per me quella fu una vera e propria liberazione. Era un tipo tutto d’un pezzo. Prima di me fu lui a vedere Londra. Dall’alto del suo Jungers Ju 87. Bombardò Londra. La vide fiammeggiare. Odiava gli inglesi. E odiava me.”
Roger era sempre più incuriosito. Impaziente. Desiderava sapere e conoscere le ragioni di quella storia. E un certo sesto senso, del quale non sapeva spiegarsene le motivazioni, gli faceva apparire l’uomo che gli stava innanzi come, si, come uno di casa. Uno già conosciuto. Chissà dove. Chissà quando.
Harnold si sciacquò la bocca con la pinta di birra. Poi bevve d’un fiato il whiskey. Proseguì nel suo racconto:” Divenne subito chiaro a mio padre che certe mie manifestazioni, diciamo pure, alternative non sarebbero state accettate. Da piccolo vestivo e svestivo bambole. Giocavo con i trucchi di mia madre. Poi di nascosto ne indossavo i suoi abiti. Insomma per un filo-nazi mai pentito fu una specie di sciagura. Alla sua morte avvenuta nel ’64 mi preparai con un corso base per apprendere la vostra lingua. Due anni dopo arrivai nel cuore pulsante della rivoluzione culturale e musicale”. Senza più contenersi, Harnold continuò. Era un fiume in piena. Raccontò del suo arrivo a Cambridge. Delle comunità di spanati e svitati che ebbe modo di conoscere. Descrisse con dovizia di particolari le serate passate tra un pub e l’altro. Dell’uso smodato di sostanze illegali. Trovò addirittura l’amore, che con enfasi, sciorinò nei minimi dettagli ad un esterefatto Roger.
“ E poi loro due si chiamavano esattamente come lei, sa..!!” Roger deglutì e non potè astenersi dal porgli la domanda, tanto abilmente imboccata da Harnold. “Loro due chi, signore?”
“ Roger detto Syd e l’altro Roger, quello scorbutico geniale e musone al contempo. Dovrà pur averne sentito parlare- aggiunse Harnold“
Continuò così a tessere questa tela fatta di eventi che cambiarono le sorti musicali di una intera generazione. Uscirono ricordi e avvenimenti dalla memoria di Harnold. Gli raccontò un intero anno nel giro di alcune decine di minuti. Spiegò al disorientato barista delle sue manie di rubare abiti femminili distesi sugli attaccapanni delle villette tipiche e caratteristiche di Cambridge. Gli fornì date e situazioni. Fatti ben ricostruiti e inopuggnabili. Fra questi uno scosse in modo determinante il barista. Harnold raccontò che in una di queste stralunate scorribande tra gonne e foulards distesi ad asciugare incappò in una donna che lo inseguì. Lo rincorse con una scopa di saggina e, una volta raggiuntolo, lo colpì ripetutamente. La signora in questione si chiamava Barrett. Era la madre di Syd Barrett.
“Lo incontrai la prima volta nel gennaio del 1967. Fuori da un locale. Fumammo spinelli tutta la sera. Ci inondammo di alcolici. E finimmo con un trip. Era un tipo allucinante. S’immagini che volle sapere tutto della mia vita. Da dove arrivavo. Tutto sul mio carattere. Spiegavo e lui sembrava memorizzare il tutto. Niente appunti. Niente taccuini”
Roger aveva capito, o cominciava a fiutare, che di fronte a lui c’era un piccolo e infinitesimale pezzo di storia. Uno di quegli insondabili e microscopici eventi che danno il là a eventi più grandi. Memorabili.
Lo invitò a continuare nel suo racconto:” mi chiese, prima di salutarci, il mio nome. Risposi sorridendo, mi chiamo Harnold Laynehoffer, lui mi disse il suo. Lo sussurrò, quasi. Roger, Roger Syd Barrett. Continuò raccontandomi che era il leader di una band che suonava blues facendo il verso agli Stones, ma che era alla ricerca di nuove sonorità. Si disse proprio così, NUOVE SONORITA’. Gli porsi la mano e nel salutarci mi invitò ad un loro evento che si sarebbe tenuto in un locale ad aprile inoltrato: l’UFO CLUB, qui a poche decine di metri dal suo pub, signore”.
Roger, il barista, sprofondò dietro al bancone tirandosi dietro alcuni bicchieri. Una volta ripresosi si rese conto di chi gli stava di fronte :” dunque signor Laynehoffer, lei, lei sarebbe quel famoso Arnold Layne. Voglio dire quello del primo pezzo di successo dei Pink Floyd?”.
Senza fare una piega Harnold rispose :” in persona!!”.
Sconvolto. Senza più fiato nei polmoni, Roger eruppe in una fragorosa risata. Contagiosa per chiunque. Contagiosa anche per Harnold. Uscì dal bancone e abbracciò quell’uomo venuto da oltre manica. Si sedettero ad un tavolo in faggio. Invecchiato dal tempo e corroso da fiumi di birra e alcool di varia natura.
Harnold proseguì, questa volta malinconico:” vede Roger io sono alla fine del mio viaggio. Il mio pancreas ha deciso di mollare gli ormeggi. E con lui la mia speranza di guardare più in là. Davanti mi resta poco. Anzi molto meno che poco.”
Roger si rattristò a quella notizia. Divenne cupo. Pensieroso. E infine sentendo l’epilogo del racconto di Harnold fu preso dalla commozione:” Syd ci ha lasciati lo scorso anno. Il mio intento era di restituire questi indumenti che involontariamente mi hanno reso celebre; mi hanno consegnato quei famosi “quindici minuti” di cui parlò Wharol. O quantomeno simbolicamente depositarli sulla sua tomba. Ma sembra che per espresso volere di Syd lo stesso sia stato fatto cremare. E le sue ceneri disperse nell’oceano. L’alternativa che mi ero prefisso era l’UFO CLUB. Ma come ben sa, Roger, alla fine del 1967 venne chiuso”. Harnold ora pareva in stato di assoluta emozione. La sua voce si fece tremolante. Quasi rassegnata. Proferì così le sue ultime parole:” questa valigia è la mia vita. Contiene la miglior parte di me. I miei vent’anni. Le mie sconvenevoli follie. I miei ricordi. Contiene la mia, e ne sono certo, la sua musica. Questa valigia è insieme corpo e anima. Non è semplicemente un involucro. E’ l’essenza stessa di ciò che sono stato. Ieri. E ora. La tenga lei. La custodisca. E ne racconti la storia. La storia di un viaggio, il mio. “
Si alzò non senza sentire il peso degli anni e della malattia. Strinse con calore la mano di Roger. Proprio come 40 anni prima. Là, vicino a Cambridge.
Uscì dal locale.
Roger si diresse verso l’impianto Technics. Seleziono l’IPOD da ottanta gigabyte. E Arnold Layne si diffuse con tutta la sua ironia e sarcasmo all’interno del locale.
(DEDICATO AI MITICI FINK FLOYD E ALL'INDIMENTICABILE SYD BARRETT)