Il Presidente Miovsky ruotò il pomello del campo gravimetrico con un minuscolo gesto delle dita sottili; le due eleganti poltrone anatomiche vibrarono, mentre i giroscopi ne stabilizzavano la discesa. In pochi istanti, il suo sedile e quello del suo ospite erano di nuovo posati sul pavimento del salone, al centro della grande cupola di cristallo che ne costituiva buona parte del soffitto. Al di là delle pareti invisibili, l’aurora boreale allungava le sue dita spettrali contro il manto gelato dell’oceano di Cerere, quattrocento chilometri più in basso.

- Spettacolo notevole, non è vero, Consigliere?

Il bicchiere di ghiaccio vetrificato dondolò nella mano del Consigliere I’Chan e il livello del liquido ambrato al suo interno oscillò leggermente.

- Magnifico, Presidente – concesse. - Posso dire di aver visto ben poche cose altrettanto sbalorditive nella mia breve vita.

- Lo spazio, mio caro I’Chan, è l’unica cosa che è rimasta, per quelli come noi.

Un gesto dell’ospite, deferente e cortese, lo indusse a chiarire il suo pensiero. Di nuovo le dita sottili sfiorarono il bracciolo della poltrona; le note velate di un’antica sinfonia di Debussy riempirono la stanza, come gocce di pioggia in un tramonto d’estate.

- Chi è mosso dal vento del progresso – continuò - non può che sospingere innanzi a sé le frontiere di questo nostro piccolo mondo. E l’unica direzione in cui è possibile progredire, oggi giorno, conduce là fuori, oltre i confini del Sistema Solare; non c’è niente, al di qua di quel limite, che valga la pena di esplorare.

- La scienza può progredire in ogni direzione; vi sono limiti da varcare quasi ovunque ci si prenda la briga di aguzzare lo sguardo.

- Oh, capisco cosa vuol dire – il Presidente alzò la voce per superare un passaggio in crescendo. – Ma non sono d’accordo. Pensi alla fisica, per esempio: sono passati quasi ottocento anni dall’inizio dell’Era Quantistica, e cose ne abbiamo ottenuto?

Il Consigliere fece ondeggiare il corpo sottile e istantaneamente la sua poltrona si sollevò, compensando la spinta del suo brusco movimento. Sorrise. – Il controllo gravitazionale, per esempio. E insieme a questo, la disponibilità di energia illimitata, a costi irrisori.

- Certo – ammise l’altro, con un gesto ampio del capo. – Viviamo come viviamo soltanto grazie ai progressi accumulati in due millenni di pensiero scientifico. Ma che dire dello spirito, Consigliere? È lo spirito che anima il progresso, l’evoluzione; tutto ciò esiste soltanto in uno stato di moto perpetuo: se il suo divenire si arresta, la nostra civiltà non può che avvilupparsi su se stessa e morire.

- Lei è a capo della più importante impresa mineraria del Sistema Solare: governa un impero di cinquecentomila piattaforme orbitanti, che avvolgono come una rete i sette decimi dei corpi celesti rocciosi conosciuti. Una fonte virtualmente inesauribile di risorse, di cui la sua Compagnia può disporre a proprio piacimento; lei si trova nella posizione di poter suscitare qualunque tipo di evoluzione tecnologica o scientifica che ritenga significativa.

- Considerazioni interessanti, Consigliere. Vedo con piacere che non ama divagare: è andato diritto al punto che mi interessa e che la riguarda; sono certo che ciò non è un caso. Dunque, a quanto pare non servono altri preamboli. Il problema che richiede la sua assistenza…

- Si tratta della produzione, non è vero?

- Come fa a saperlo?

Il sorriso di I’Chan aveva qualcosa di sinistro. – Non si può fare il mio lavoro senza conoscere qualche piccolo segreto.

- Sono trent’anni che è in calo. Gli economisti di tutto il Sistema non riescono ad arginare il trend negativo, o a trovare una spiegazione razionale del fenomeno: nessuna perdita di efficienza tecnologica, nessun fattore confondente, nessuna carenza di materie prime o di energia. Nonostante la continua messa a punto di programmi intensivi di sfruttamento, la produzione cala ovunque, senza cause apparenti. I migliori analisti hanno sprecato yottaflops di potenza di calcolo per scandagliare ogni possibile sfaccettatura del problema, invano.

 

 

Nel grande hangar della Compagnia, Miovsky e I’Chan osservavano la figura davanti a loro, che a sua volta li guardava con grandi occhi scuri e spaventati: ad eccezione di un lieve tremore degli arti, rimaneva del tutto immobile.

- E questo è il… il suo prototipo, Consigliere?

- È ben più di un prototipo: possiamo considerarlo un modello evoluto, perfettamente messo a punto.

Il Presidente scrutò nuovamente i lineamenti infantili, l’espressione assente e impaurita, il corpo mingherlino e sbilenco che aveva davanti. Appariva grottesco e fragile, curvo in quella sua ridicola tutina azzurra. Anche le mani e le braccia erano tozze e grossolane; non riusciva a capire come quella ridicola creatura avrebbe potuto migliorare le prestazioni estrattive delle sue imprese. Si sforzò di dominare l’irritazione e di seguire la spiegazione di I’Chan.

- Quando ho approcciato per la prima volta il suo problema – cominciò il Consigliere, assumendo un tono vagamente accademico – mi sono subito reso conto che i precedenti tentativi di gestire la crisi di produttività sono basati su un assunto sbagliato.

- E lei, invece, da dove è partito?

- Io ho semplicemente ribaltato i termini della questione. Se i fattori a monte della catena produttiva non sono il problema, questo deve trovarsi a valle. Vale a dire nella domanda: il sistema non produce perché non ce n’è alcun bisogno.

- Cosa significa?

- Provi a pensarci, Presidente: al giorno d’oggi, nessuno può dire di aver veramente bisogno di qualsiasi cosa: sappiamo produrre energia persino dalla radiazione cosmica di fondo. Abbiamo corpi eterni, inattaccabili da qualunque forma di degrado o disfunzione. Niente di ciò che usiamo per vivere richiede il minimo intervento di manutenzione: il nostro è un sistema chiuso, perfettamente in equilibrio. Produrre è semplicemente inutile.

- Ma questo è proprio ciò che le ho detto all’inizio! Uno scenario del genere significherebbe la fine di tutto, la stasi assoluta. Ma lei… lei non mi ha detto di aver trovato una soluzione?

- Ci stavo arrivando. Si tratta di introdurre nel sistema un fattore nuovo, qualcosa che sia in grado di indurre una domanda anche laddove non ci sia alcun bisogno. Un principio che non ci appartiene, ma che è rappresentato in abbondanza in altre civiltà.

Il Consigliere I’Chan sollevò da terra la creatura che aveva portato con sé e lo avvicinò al suo interlocutore. Osservandolo, Miovsky si rese conto di ciò che fino a quel momento gli era sfuggito.

- Ma… è organico?

- Puramente biologico; materiale genetico terrestre originale, conservato di quasi cinquecento anni.

- Un biologico! E cosa spera di ottenere rigenerando una di quelle creature estinte?

- Vede Presidente, c’è una cosa che pochi sanno, riguardo all’estinzione del genere Homo. Questo filone di ricerca è considerato dai più un campo improduttivo e bizzarro, ma io lo trovo affascinante e, come spero di dimostrarle immediatamente, affatto inutile.

- Vada avanti, Consigliere. – L’essere, in quel momento stava iniziando a dar cenni di irrequietezza: si agitava, dondolando le piccole braccia grassocce, ed emetteva piccoli suoni, acuti e intermittenti, dalla bocca spalancata.

- Tutti sanno che sono stati i mutamenti climatici a rendere il pianeta Terra incapace di sostenere la popolazione umana, alla fine del XXII secolo, provocandone il rapido declino e l’estinzione assoluta; ma fino a poco fa, era un mistero cosa avesse provocato così repentini e violenti sconvolgimenti nel pianeta. Ebbene, la spiegazione è qui davanti a lei. E ovviamente, questa è anche la soluzione alla sua crisi industriale.

- Cosa vuol dire?

- Capirà meglio con un semplice esperimento.

I’Chian premette un pulsante nella parete della sala dimostrativa; una sezione del pavimento ruotò su se stessa e ne fuoriuscì rapidamente un enorme grumo di materiale organico, biancastro e succoso, che emanava un forte odoro di zucchero. In pochi secondi, il cumulo crebbe, fino ad assumere proporzioni colossali.

- Vuoi un po’ di zucchero filato, Arnold?

Il bambino si animò; tese la manina e la infilò nel mucchio davanti a lui, poi si portò alla bocca una bella manciata di quella roba, ed iniziò a masticarla con evidente soddisfazione.

- Ora dimmi una cosa, Arnold: quanto ne vuoi mangiare?

Il piccolo considerò la montagna biancastra davanti a lui: un cubo di circa tre metri di lato, che occupava buona parte della stanza. Poi, con sguardo risoluto, spalancò la bocca piena di zucchero e biascicò: - Tutto quanto!

Un attimo dopo, i due androidi metallici si strinsero vigorosamente la mano. Il Presidente non riusciva a dire niente, ma aveva tutti i circuiti che ticchettavano di entusiasmo.

 

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