Quando Enzuccio entrò, una sera degli anni settanta, nella sede di Banchi Nuovi, aveva la stessa espressione che avevano tutti i proletari quando varcavano quella soglia. Ironica e scettica.

La stanza non era molto grande, non era bella, le panche erano state costruite con materiale di riciclo, una parete era occupata da un mobile vecchio – probabilmente appartenuto a una camera da pranzo – dal quale uscivano fogli di carta bianca e sul quale erano depositati pennelli e lattine di vernice rossa. Era l’apparato “stampa”: quelli che si chiamavano tazebao, i giornali murali usati durante la rivoluzione culturale in Cina, venivano scritti a mano sui tavoli. Attraverso decine e poi centinaia di tazebao incollati sui muri venivano avvertiti i disoccupati delle scadenze di lotta e la cittadinanza della presenza di un movimento che lottava per il lavoro.
La stanza era sempre più spesso affollata. La voce si stava diffondendo e, soprattutto la sera, venivano disoccupati a iscriversi alla “lista di lotta”.
Enzuccio venne con il fratello, faceva parte dei conoscenti di Rafele e di Rocco o’muto, un gruppo di giovani che si vedeva nella piazza vicino alla sede. Piazza Banchi Nuovi.

I due fratelli abitavano al Vico del Cerriglio. Quando ci portammo Vittorio Vasquez, il consigliere comunale eletto grazie ai voti della “sinistra radicale”, a vederlo e a incontrare i suoi abitanti, una decina di famiglie, si mise a piangere. Pasolini ci aveva girato alcune scene del Decamerone perché quei vicoli bassi e maleodoranti di cui era costituito il “palazzo” del Cerriglio, con anfratti al posto delle stanze, senza elettricità e una tazza come cesso per piano, erano del ‘300. Era considerato il vicolo più stretto di Napoli. Nel ‘600 alla fine del vicolo c’era una locanda frequentata, nei secoli, da artisti e letterati; in quel vicolo Caravaggio rischiò di essere assassinato.

Negli anni settanta del secolo scorso ci abitavano ancora persone addirittura famiglie con bambini.

Enzuccio viveva in quel vicolo: disoccupato “si arrangiava” con il fratello “sugli autobus”. Aveva uno sguardo vispo, l’espressione perennemente sorniona accentuata da una mascella un po’ pronunciata che gli meritava l’epiteto scherzoso con il quale qualcuno dei suoi amici lo chiamava: “scignietella”.
Al tempo dell’iscrizione di Enzuccio, a Banchi Nuovi si stava costituendo il gruppo musicale: c’era Lorenzo, con una lunga esperienza nelle organizzazioni cattoliche e negli scout, che stava insegnando a suonare la chitarra e preparando un coro per le manifestazioni.
Durante le manifestazioni cittadine, infatti, si era creata l’abitudine di inventare strofe di canzoni sul tema della lotta e del lavoro che venivano ripetute a tempo di marcia nelle diverse fila del corteo. Enzuccio disse che gli piaceva cantare e si sedette in mezzo agli altri e di fronte a Lorenzo. Sera dopo sera – il gruppo musicale aveva due appuntamenti settimanali – Enzuccio si inserì perfettamente nel coro e Lorenzo diceva di lui che aveva talento per la musica. Cantava bene, con una voce un po’ arrochita dal fumo delle marlboro rosse. Ricordo quella sera di qualche mese dopo, che Lorenzo gli diede la chitarra e disse: “Prova!".
Da quella sera Enzuccio e Lorenzo fecero gli straordinari a strimpellare, poi a fare bene il “giro di Do”, poi ad accompagnare le strofe dei canti di lotta e a crearne di nuove. Enzuccio con Gennaro, Lorenzo,  Roberto e Francesca erano diventati affiatati, un bel gruppo con un bel sound.
Il comitato dei disoccupati aveva un gruppo musicale.

I canti dei disoccupati durante i cortei attiravano la gente che si fermava a guardare, ad ascoltare e a leggere il “giornale”. Il giornale che si chiamava “Banchi Nuovi” era un foglio su carta doppia che poteva servire per farne un quadro: ci serviva come autofinanziamento. Era impaginato da un grafico professionista, Patrizio, e conteneva le fotografie che ci venivano donate dai grandi fotografi, non solo napoletani: Luciano Ferrara, Antonio Biasucci, Uliano Lucas, Mimmo Iodice e tanti altri, anche stranieri. Era un foglio bellissimo!
Quel movimento seppe costruire attorno a sé consenso e simpatia; molti intellettuali cominciarono a venire a Banchi Nuovi per offrire i propri servizi, architetti, pittori, avvocati. Questa abitudine – di costruire schieramento attorno alla lotta per il lavoro – non è stata mai persa e ha consentito una buona agibilità politica pur nei tempi molto difficili che sarebbero venuti in seguito.

La lotta pagò.
Enzuccio fu assunto al Comune.
Lo persi di vista perchè a Banchi Nuovi, con Rafele, ci mettemmo subito al lavoro: aprimmo le iscrizioni a un’altra lista di lotta per il lavoro.

Come nelle favole ritrovai Enzuccio molto tempo dopo, una sera, guardando distrattamente la televisione. Lo stava intervistando Gianni Minà.
Enzuccio, Enzo Gragnaniello, portava i capelli più lunghi, aveva sempre la stessa espressione un po’ sorniona, qualche posa da divo, il suo napoletano faceva “naif”, la sua voce era sempre arrochita. Mi intenerì vederlo lì attraverso lo schermo. Mi venne da pensare ad una frase un po’ démodé: allora esistono i miracoli!
Ho rivisto due o tre volte Enzuccio quando abitavo a Napoli.
“Uè pierluì”, mi gridava, un largo sorriso e ci abbracciavamo.
Tutto lì.
Proprio come nelle favole.

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