Cammina lentamente, con ritmo costante, curvo sotto il pe­so dello zaino. La strada, in salita, è deserta. Il sole splende impla­cabile arroventandogli la fronte, il petto, le cosce. La camicia è in­collata alla schiena, i capelli madidi di sudore. Pensa, con amarez­za, a quante volte l'ha fatta di corsa quella strada, d'estate e d'in­verno. Finalmente arriva alla piazzetta che ricorda così bene: da un lato la porta etrusca con i leoni infuriati, a lato la fontanella, dirimpetto il bar.

Si dirige alla fontana. Lo zaino scivola ai suoi piedi. Si sciacqua accuratamente le mani e le braccia, il viso, i capelli. Il sudore scende a rivoli sulla schiena. Beve a lunghi sorsi l'acqua tiepida, dal sapore amaro, per placare una sete che è anche paura. Lo sguardo vaga per la piazza. Niente è cambiato, solo lui si sente diverso. Prende il pacchetto delle sigarette, umido e stropicciato, dal taschino della camicia. L'ultima sigaretta, quasi un presagio. L'accende con somma attenzione per quanto non ci sia un alito di vento. Una torpida calma avvolge il luogo desolato. Solo il battito furioso del suo cuore scandisce il passare del tempo. Fuma con tiri nervosi, fino alla fine, godendosi ogni istante. Lo sguardo è fisso all'entrata del bar. Ancora non ha visto entrare nessuno, né uscire del resto.

Tira un profondo sospiro. Entrare deve. Dopo, lo sa, tutto sarà diverso.

Raccoglie lo zaino appoggiandolo alla spalla destra. Con passo riluttante attraversa la piazza, scosta la vecchia tenda di perline colorate che, come al solito, tintinna al passaggio. Si ferma sulla soglia, per un attimo cieco. I soliti vecchi al tavolino giocano a carte imprecando piano, a lato un bicchiere di vino.

Non la vede subito. Lei è seduta dietro la cassa, sullo sga­bello grande. Sfoglia una rivista con aria svogliata. All’entrata del cliente si alza con un movimento indolente. Il vestito leggero met­te in risalto il ventre pregno.

Lo accoglie con un sorriso senza vederlo.

Lui si siede su uno sgabello dinanzi al bancone, lo zaino ai piedi. Non dice niente, non la guarda.

Quando lo riconosce il sorriso le muore sulle labbra. Si av­vicina con cautela, si appoggia alla macchina del caffè, prende uno strofinaccio e con gesto automatico comincia a fregare un bicchiere pulito.

Lui la guarda. Lei restituisce lo sguardo, incerta.

"Sei tornato", sussurra, ed è una preghiera.

"Sono tornato", risponde lui, ed è una resa.

Rimangono a lungo a guardarsi senza parlare, ascoltando lo schioccare delle carte sul tavolo.

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