L’anziana donna si chiamava Mantovani Clelia e proveniva da una facoltosa famiglia. Inoltre, in gioventù si era a sua volta sposata con un ricco capitano di industria, ed avevano avuto un figlio. Il marito di Clelia, tuttavia, era mancato poco dopo e Clelia era rimasta da sola a crescere il figlio.

I mezzi economici non le mancavano, ma aveva solo lui; la rigida educazione ricevuta, la dolorosa perdita del marito e altre vicissitudini avevano pian piano indurito il suo cuore e Clelia si era via via sempre più chiusa in se stessa. Si era progressivamente isolata e l’unico contatto umano che le era rimasto era quello con il figlio, che lei amava con tutta se stessa, ma con il quale, man mano che cresceva, i rapporti si erano fatti sempre più tesi.

Poi però ad un certo punto Claudio, questo era il nome del ragazzo, si era innamorato di una ragazza che Clelia non approvava, perché proveniente da una famiglia modesta. Caparbiamente e, come capì purtroppo solo dopo, ciecamente, Clelia aveva dato l’aut aut a suo figlio, dicendogli che se si ostinava a frequentare quella ragazza lei non lo avrebbe più considerato suo figlio e lo avrebbe diseredato.

Ma lui non aveva voluto sentire ragioni. Amava quella ragazza, e aveva deciso di sposarla. Con o senza l’approvazione di sua madre.  Avevano litigato furiosamente.

E così Claudio se n’era andato e si era sposato.

Gli anni passavano e Clelia, sempre più chiusa in se stessa, non aveva più voluto avere niente a che fare con Claudio e Giulia. Sapeva che i due avevano avuto due bambini, ma anche se in cuor suo avrebbe voluto conoscerli, Clelia se ne restava lì a covare il suo rancore, arroccata sulle sue posizioni.

E poi un giorno il telefono squillò. Quel telefono che non squillava mai, poiché ormai nessuno aveva niente da dire a Clelia.

Ma quel giorno il telefono squillò e Clelia seppe.

Seppe che Claudio, Giulia e i loro due bambini erano stati investiti da un’auto pirata mentre attraversavano una strada. Seppe che le loro vite, di cui Clelia non sapeva niente, erano state spezzate per sempre. Seppe che non avrebbe mai potuto conoscere i suoi nipotini, né rivedere il suo amato figlio e la donna con cui lui aveva scelto di dividere la vita. E seppe, troppo tardi, che la sua testardaggine, la sua altezzosità, la sua insensatezza l’avevano separata per sempre da tutto ciò che aveva un senso.

Clelia pianse per giorni. Pianse ai funerali, pianse quando le consegnarono le chiavi e si recò nella casupola modesta, ma piena di amore dove suo figlio aveva vissuto con la sua bella famiglia. Pianse quando vide, in un quadretto appeso a un muro nell’ingresso, una foto che la ritraeva insieme ad un Claudio bambino. E pianse quando, tornata a casa, aprì quel cassetto, quello dove anno dopo anno aveva riposto senza aprirle le tante lettere a lei indirizzate da suo figlio, da Giulia, e anche da quei nipoti che lei aveva rifiutato.

Passò la notte a leggerle e pianse maledicendo se stessa per la sua stupidità.

E così da quei tristi giorni Clelia aveva deciso che ciò che non aveva dato a suo figlio e alla sua famiglia lo avrebbe dato ad altri.

Mise se stessa al servizio degli altri; iniziò ogni giorno della sua vita per aiutare le altre persone in tutti i modi che le venivano in mente.

Nel periodo natalizio Clelia passava le sue giornate a preparare piccoli pacchetti contenenti denaro ed altre cose, per poi girovagare per le strade e donarli alla gente che incontrava. Prediligeva le famiglie con bimbi, ma non solo.

Poi il 24 dicembre consumava un pasto frugale e se ne andava a dormire presto, passando tutta la notte sola con il suo dolore. E rileggendo le lettere di Claudio, Giulia, e di Lorenzo e Luna, i suoi nipoti perduti.

 

Ed ora che conoscevamo la storia ci domandammo, cosa ne avremmo fatto?

Quella sera discutemmo a lungo con tutti i partecipanti alla chat e le idee non mancarono certo. C’era chi proponeva di scriverle delle lettere di ringraziamento, chi di pagarle un viaggio: Scilipoti propose di farle conoscere un gagliardo vecchietto che viveva nella struttura dove lui lavorava… Walter di inserirla a buon diritto nel team del sottomarino giallo, ma quest’idea fu subito scartata perché comportava alcuni problemi logistici.

L’idea migliore, comunque, la ebbero i miei bambini, che sono tre monelli, ma quando vogliono le idee buone ce le hanno.

Lavorammo alacremente, non c’era tempo da perdere perché il 24 dicembre era ormai vicino.

E così la vigilia di Natale arrivò.

Clelia aveva finito il suo giro di distribuzione dei pacchettini e con passo traballante stava tornando a casa.

Strada facendo non si era accorta che mentre camminava ad ogni angolo capannelli di bambini la seguivano, comunicando tra loro a distanza attraverso dei walkie talkie

“Qui Gabriele, la vedo, sta girando l’angolo di via della lumaca, passo e chiudo”.

“Ricevuto, qui Valentino, Vitto tra un po’ la vedi, passo e chiudo”

“Eccola, eccola, avviso subito la base, qui Vitto, passo e chiudo”... e così via.

Clelia svoltò per entrare nella piazzetta dove c’era il portone di casa sua. La sera allungava le sue ombre e svoltato l’angolo l’anziana donna rimase immobile, paralizzata dalla sorpresa. La piazzetta era addobbata a festa e gremita di persone, ciascuna delle quali aveva tra le mani una piccola candela accesa. E c’era musica, una musica bellissima, e tavolate imbandite, piene di cibo.

Non aveva mai visto niente di simile. E al suo apparire le persone la circondarono, iniziando a ringraziarla calorosamente. I bambini la abbracciavano teneramente e le portavano disegni e piccoli regali.

Fu una serata meravigliosa. Il più bel cenone di Natale di sempre.

Clelia perdonò se stessa e da quel momento non fu mai più sola.

Ma questa è un’altra storia!!!

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