A tavola la famiglia si riunisce per cibarsi. Ognuno guarda lo schermo del suo smartphone e sembra perso nella navigazione.

Un tempo si parlava del più e del meno, di cosa fosse successo a scuola, di cosa si sarebbe mangiato per sera, si discuteva su un film visto, su una preoccupazione in corso. Dalla bocca uscivano parole e ci si guardava negli occhi. E se la televisione disturbava si spegneva per permettere il colloquio e prima si pranzava o cenava e poi sul divano ci si drogava dei programmi televisivi. Oggi ci si guarda nello schermo del proprio "device", ci si accorge di noi come immagine dentro ai circuiti e alle schede e forse ci si innamora di se stessi come narciso alla fonte.

C'è in aria solo un monologo interiore, tanti monologhi solitari come monadi leibniziane in eterna sofferenza perché forse non ci si riconosce più e non si ricorda il tono della voce di ogni singolo componente della famiglia. E se non si condivide con la rete, se non si controllano i like sui video di YouTube, se non si vede Facebook e si aggiorna il proprio profilo o non si condivide l'ultima foto pubblicata su instgram non si sta in pace con se stessi. Intanto si mangia qualsiasi cosa c'è sul tavolo, senza guardare, senza guardarsi, tanto per stare seduti in attesa di una telefonata, di un trillo per un messaggio RICEVUTO. Non esiste più il suono delle voci. Tanto che la famiglia si scopre senza voce, non parla più nessuno e se c'e bisogno di qualcosa, basta inviare un SMS duplicato a più destinatari e aspettare per verificare se è stato ricevuto, tanto si sa che si è tutti online.

La cena è finita. E senza mostrare alcun segno di emozione, si lascia il proprio piatto e la sedia. E ci si chiude ognuno nella propria camera in attesa che arrivino i messaggi, le pubblicazione dei 5000 amici che non conosci nella realtà ma formano la tua comitiva virtuale. E pensare che per poco non si è sfiorato un contatto con la mamma, che stava per abbracciare un figlio solo perché il suo telefonino si era scaricato ed era tornata alla realtà come lo "stormir di fronde"di leopardiana memoria, che riporta il poeta in carne e ossa, senza telefonino (perché non era stato ancora inventato nel mondo reale), dopo che "nel pensier" s'era perso oltre la siepe  nell'infinito.

È un'immensa drammatica solitudine quella che viviamo quotidianamente, senza accorgercene, come se il nostro cervello si fosse evoluto verso le nuove tecnologie ipnotiche e si fosse spento alle vere emozioni e ai veri sentimenti umani. 

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