Ho appena finito di lavorare e m'incammino sotto la pioggia verso la stazione metropolitana più vicina per prendere il treno delle 19. Scendo per le scale, appoggio, ormai automaticamente, il mio abbonamento sull'obliteratrice e passo il tornello. Le solite sedie gialle sono lì ad aspettarmi accanto alla pila di giornali gratuiti che qualcuno di tanto in tanto sfoglia per far scorrere il tempo senza avvertirne la pesantezza.
Perché il tempo ha un suo peso; e lo si vede guardandosi intorno: chi porta addosso più tempo regge un peso maggiore, chi ne ha di meno regge un peso minore.
Così, tra una riflessione e un'altra, mi siedo e fisso lo sguardo sulla parete ricurva che ho d'innanzi. Considero la tristezza di quel muro bianco sporco sul quale ancora nessun giovane ha voluto esprimere la propria creatività con originali graffiti, forse per paura di telecamere o semplicemente perché non ne ha voglia, assuefatto com'è dal grigiore alienante della città.
Ma i giovani hanno i colori dentro e li sprigionano con il loro essere se stessi: chi è timido, chi sfrontato, chi dolce, chi presuntuoso, ognuno con le proprie sfide interiori e le proprie infinite domande. Anche chi non vuole farlo notare ha trascritta in viso una domanda, una qualsiasi, chi più chi meno profonda, ma è lì, nei loro sguardi.
Proprio mentre penso a queste cose mi volto in direzione delle scale e ne vedo uno. Eccolo, bellissimo, con la sua giovinezza, con le sue grandi cuffie colorate alle orecchie come a volersi estraniare da ciò che lo circonda. Avrei voglia di sapere la sua età, indefinibile adesso l'età dei giovani: sembrano già grandi e sempre piccoli, così esperti e così incerti, contraddizioni incarnate.
Alla mia destra siede un uomo, le rughe smentiscono il suo corpo elegantemente vestito e con una tonicità pregressa. Porta tondi occhiali a incorniciare i suoi piccoli occhi, lo guardo e penso che potrebbe essere mio padre e provo per lui la stessa compassione amorevole. Fosse stato in piedi gli avrei volentieri ceduto il mio posto, anche se, probabilmente, per galanteria non mi avrebbe neanche permesso di muovermi, me lo avrebbe imposto con uno sguardo deciso e nello stesso tempo delicato, tipico dell'uomo maturo. "Uomini di altri tempi", dicono. E' vero, secondo me, per il fatto che ora è più difficile mantenere accesa negli anni l'umana luce interiore, vivacità d'animo che si rende manifesta negli occhi, senza farsi trascinare nel baratro da quelle sensazioni che non trovano freno o da quelle paure che ti emarginano dalle emozioni. L'uomo accanto a me lo sa. Le rughe sono segni del combattimento duro della vita. Non bastano viveri e vivande per sopravvivere, occorre esserci, corpo e mente. E lui esprime questa vittoria, questo suo non essersi rassegnato davanti agli ostacoli incontrati nel percorso della vita, infatti il suo sguardo fiero sta fissando un oggetto, che tiene tra le mani, un bastone. La sua piccola arma nonché ausilio per sorreggere un tempo che si fa ogni giorno sempre più pesante.
Alla mia sinistra siede una donna. Noto una cosa che mi fa rattristare e rallegrare insieme: è gravida. Il termine significa per l'appunto 'appesantita'. La donna è appesantita non solo perché porta una nuova creatura in corpo ma perché sarà responsabile per essa. Sta mettendo al mondo, questo mondo, una parte di sé.
Sono rattristita perché mi riesce difficile pensare oggi al coraggioso atto del dare alla luce un figlio, un piccolo e indifeso cucciolo d'uomo e consegnarlo a questo mondo osceno e senza pietà. Il problema non sta tanto nella gestazione e nel parto che, seppur dolorosi, si superano, quanto nell'allevarlo con i principi più giusti. Bisogna insegnargli a puntare in alto ma anche a saper perdere, a lottare per i propri ideali, a rispettare l'altrui volontà, a condividere con chi ha bisogno, a saper volere sinceramente bene, a tenere un comportamento adatto in ogni situazione della vita la quale spesso tira colpi bassi quando meno ce l'aspettiamo, a saper dire di no alle cose che fanno star male, ad avere il coraggio di cambiare e di migliorare. Il tutto senza corrompere il proprio cuore con le viltà tipiche del genere umano come le violenze, l'invidia, la falsità, l'inganno. Bisogna indicargli come innalzarsi alle sfere più alte della conoscenza e come dedicarsi al nutrimento della mente e dell'anima con le arti. Fargli apprezzare le cose belle di questa breve vita. Infatti ciò è compito di chi ci genera, di chi ci mette al mondo per darci la possibilità di sperimentare la vita e non per condannarci. Per questo mi rallegro: i bambini sono la speranza. La speranza che il futuro sia migliore, per il frutto stesso del grembo e a partire proprio da lui; lui deve essere un chicco di questo miglioramento.
Mentre penso ai bambini ne vedo due camminare davanti a me, ciascuno con il proprio genitore. Uno è un bambino ben vestito, potrebbe avere ad occhio e croce un'età compresa tra i cinque ed i sei anni, porta con se un giochino. Mi accorgo che lo stringe nelle mani, guardo più attentamente e vedo che è un cellulare. Perché paralizzare così la loro fantasia? Portategli dei colori piuttosto! Alimentate la loro curiosità, sollecitate la loro creatività. Evidentemente la persona che gli tiene l'altra mano per proteggerlo e non perderlo nella confusione della metro non vuole proteggere anche la sua colorata immaginazione, vuole, piuttosto, che diventi cupa come questo squarcio di città. La lettura, quella si che farebbe bene. Noto che sta imparando a leggere: legge dai cartelli pubblicitari e dai divieti e dai regolamenti posti qua e là sui muri della metro. Stimolare e attirare. Ecco qual è la risposta. Stimolare e attirare l'attenzione verso il positivo, le cose semplici, non verso cose estranee e che li isolino, come potrebbe fare, in questo caso, un cellulare. L'altra è una bambina e con un contagioso sorriso scioglie l'animo di tutti noi, figure tetre, che ci troviamo a quell'ora in metro. E' una bambina curiosa, ad ogni passo fa una domanda al padre. Sembra voler conoscere ogni singolo angolo di questo mondo e alimentarsi di questa conoscenza dal padre che, amorevole, anche se pensa che la voce della figlia possa infastidire, le risponde serio. Vuole che impari e che contemporaneamente mantenga intatta questa curiosità.
E' strabiliante il modo in cui i bambini si stupiscono davanti alle cose che per noi sembrano così ovvie. Ricordo ancora di una bambina che sul tram a Torino prima di scendere disse alla madre: 'che belle queste porte che si aprono e chiudono da sole', la madre subito le spiegò che era l'autista a fare ciò con un comando elettronico, come a volerla mettere in guardia da certe illusioni.
Ore 19. "Allontanarsi dalla linea gialla". E' l'ora di tornare a casa, salgo sull'ultimo vagone e prendo posto. Davanti a me un anziano signore inizia a parlarmi, ne ha voglia. In questo mondo in cui ognuno di noi ha spesso la voglia di parlare anche con un perfetto sconosciuto c'è qualcosa che ci blocca. C'è una sorta d'imbarazzo e alla fine o ci si scambia qualche parola velocemente o nulla. Lui è tranquillo, ha acquisito la consapevolezza che oggi ci sono io davanti ai suoi occhi, domani chissà, ma vale la pena parlare, conoscere, non starsene muti a scrutarsi, questo possono farlo i giovani che credono di avere molto tempo davanti ma lui no, quindi coglie il momento per parlarmi dei suoi figli, di sua moglie, del fatto che la compagnia della sua 'insopportabile' moglie è di vitale importanza per lui.
Penso che, gira e rigira, sotto questo cielo siamo sempre noi con noi stessi, con i nostri punti di vista e le nostre esperienze e che, in fin dei conti, basterebbe un briciolo della leggerezza di chi di questa terra sa ancora poco, come un bambino, o di chi serba molte esperienze di essa, come un anziano, per riuscire a sopportare nel modo più facile il crescente peso del tempo.

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