Era il 1994, avevamo undici anni ed eravamo amici.

Non era una cosa strana per noi trovarci nella mansarda di casa mia, solitamente in orario preserale, a guardare fuori dall'abbaino. Oggi non potremmo più; ma non per colpa dell'abbaino che è più o meno sempre lo stesso, ragnatele comprese, bensì per il fatto che la casa dietro la mia si è nel frattempo alzata di un piano. Ci ha tolto la vista che un tempo c'era, un vero spettacolo. Ma così vanno le cose, suppongo.

«Sai che c'è?»

«Hm?»

«Scommetto che è la serata in cui quelli nella via qui dietro si trovano con gli amici. Ti ricordi l'ultima volta?»

«Bestia se mi ricordo! Si sono messi a ballare quella musica, cos'era pure? Ptum putum purum pum brum...»

«Sì, e trapatun, come no. Era dance pop, scemo. E quella che si era messa a ballare sul tavolino...»

«Bellissimo! Con tutti che le stavano sotto a sventolare i bicchieri.»

«Sventolare i bicchieri? Chissà cosa fai con le bandiere. Dai, vediamo se ci sono.»

Per noi era una specie di rito, un qualcosa di imprescindibile quando ci vedevamo in primavera/estate. Fuori c'era tutto un mondo di cose, spesso nuove per noi che eravamo poco più che bambini. Anche se devo ammettere che alcune di queste ci sarebbero state vietate, se i nostri genitori avessero saputo. Per dire, quella storia della festa in casa di un tizio che abitava nella strada dietro a casa mia, ecco... ok, si trattava di feste, d'accordo, ma non erano esattamente quelle feste alle quali eravamo abituati noi. Il riferimento alla donna che ballava sul tavolino con attorno gli altri che, per dirla come Paolo, “sventolavano i bicchieri”, era piuttosto esplicito, non trovate? Voglio dire, non era fraintendibile una volta che si avevano i termini di paragone.

La sera in questione era serena e limpida, perfetta per un'occasione come quella. Il rumore delle auto in lontananza con le luci che scomparivano oltre il ponte, il paese oltre l'argine e le finestre illuminate delle case vicine: tutto come in una scenografia perfettamente concepita. E io e Paolo a guardare fuori dall'abbaino come due spettatori.

«Ahhh, che serata.»

«Guarda, ci sono anche stasera! Solo che non mi sembra stiano dando una festa.»

«No, sono solo seduti nel salotto. Cavolo però, ogni settimana si trovano tra loro. I nostri genitori mica lo fanno.»

«No. E poi non ballano mai. L'ultima volta che mio padre ci ha provato è scivolato su una boccia e si è tumefatto una chiappa.»

«Una boccia? Scusa ma com'è possibile che... cioè, dove ballava?»

«Ah, mica lo so.»

La finestra in questione, quella che tenevamo d'occhio, era al secondo piano di una palazzina che dava sulla strada. Lì si vedevano alcune persone, uomini e donne, vestiti in maniera elegante (almeno dal nostro punto di vista) che conversavano davanti a un paio di bottiglie di liquore. Quella sera parevano più rilassati del solito.

«Mi sa che stasera non ballano. Guarda, tutti lì a parlare.»

«Ma magari poi mettono su la musica. C'è anche la signorina dell'altra volta e pure un'altra...»

«Aspetta, che fanno?»

I convitati, o almeno la maggior parte di loro, si erano alzati dai divani e aveva iniziato a spettegolare tra loro in piedi mentre uno stava armeggiando su di un grosso stereo alta fedeltà. Poi, come nei migliori spettacoli, la musica partì e noi due rimanemmo a guardarli dimenarsi in maniera improvvisata, divertendoci non poco. Almeno fino a quando non entrarono in scena le due donne.

«Vanno a ballare anche loro! Secondo te fanno come la volta scorsa?»

«Probabile. Però...»

Beh, a questo punto penso sia superfluo dire cosa vedemmo alla finestra. Le due signorine in questione si misero in effetti a ballare, dei lenti suadenti per la precisione, e i bicchieri di whisky che avevano in mano fecero il resto. Ricordo che la volta che vidi altrettanti strusciamenti fu quando, alcuni anni dopo, guardai in clandestinità il film Basic Instinct.

«Ma che fanno?»

«Cavolo. Ma secondo te lo fanno anche i nostri...»

«No dai, che schifo! Ma figurati se loro... spostati, fammi vedere meglio...»

Proprio quando il party stava per entrare nel vivo, apparve una terza donna della quale entrambi notammo subito due cose: intanto non era quella che vedevamo di solito. In secondo luogo, era in intimo nero. Molto raffinato, ma allora non ci facemmo caso. Apparve giusto il tempo di prendere per la cravatta il padrone di casa, poi tutti e due scomparvero dietro le tende della finestra.

«Ma secondo te quella...»

«Ammazza che tette che aveva.»

«Ma non era la solita.»

«No, ma aveva delle gran tette.»

«Che belle le tette.»

L'imprevedibilità in fondo era il bello di quelle occasioni, anche se fa strano dirlo dato che non ci muovevamo dalla mansarda di casa mia. Se tuttavia l'avessimo fatto, ci saremmo persi quelle cose pruriginose del microcosmo nel vicinato che a quell'età restano impresse. Non per niente ancora oggi apprezzo particolarmente in una donna i coordinati intimi di pizzo nero.

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