State per assistere a "il giro della morte": la grande competizione motociclistica annuale della città-carcere di Nuova Neapolis, capitale della detenzione di questa marcia e corrotta Italia del 2114.
Moderni e motorizzati gladiatori si combattono in una sfida senza esclusione di colpi, dove c'è gloria solo per il vincitore. 
Tutti gli altri partecipanti possono solo incontrare la morte, cruenta in gara o spietata per mano della propria stessa tifoseria. Non c'è pietà per il perdente e per il peso che questo porta. E' l'effimero piacere di assistere ad un paio d'ore di gratuita violenza per il direttore ed i suoi ospiti provenienti dal resto della nazione. 
Per i cittadini-detenuti è la speranza di lasciare cinque anni prima questo inferno in caso di vittoria del campione del proprio braccio o il terrore di scontarne altri due in caso di sconfitta. 
Dividi et Impera, la formula tanto antica quanto efficiente con cui il direttore Scalise tiene la popolazione a bada, impedendo coalizioni o possibili rivolte.
Privati del nostro nome, in cambio di un codice identificativo, marchiati come un capo di bestiame così che il segno della detenzione sia sempre visibile sul nostro zigomo, viviamo una realtà dove non c'è spazio per l'affetto, l'amore, l'amicizia, il coraggio. C'è spazio solo per la paura e l'istinto di sopravvivenza. 
Nonostante molti tra i più ricchi ed influenti politici siano assidui spettatori ed accaniti scommettitori del giro della morte, nessuno è a conoscenza delle barbarie che si perpetrano all'interno delle alte mura che circondano Nuova Neapolis. 
Nessuno è mai riuscito ad evadere. 
Fino ad oggi. 
Semaforo giallo, l'aria si riempie dell'odore della benzina e del rombo dei motori. La mia ultima corsa, l'ultima corsa di Nero, sta per iniziare.
Da tempo avevamo trovato rifugio nella stazione abbandonata Toledo. Con la scoperta della vecchia rete metropolitana, l'idea dell'evasione aveva preso forma e consistenza, ma anche adesso, a ventiquattro ore dall'inizio della gara, c'era chi ancora dubitava dell'azzardo di quella scommessa.
"Circa sei chilometri da percorrere nel buio più totale sparato a duecento chilometri orari? Que estàs loco!"
Erano le prime parole che Nahema ci rivolgeva da quando eravamo entrati. Piccola e minuta, dalla carnagione chiara e dai capelli di un intenso blu elettrico, la mia ispanica hacker si era isolata nel suo mondo virtuale interfacciandosi alla matrice non appena arrivati. Il cavo di collegamento si dipana come un singolare cordone ombelicale, partendo dallo spinotto sulla sua tempia fino a giungere al terminale appoggiato in un angolo del pavimento.
"Senza contare il fatto che hai una finestra temporale di non più di cinque minuti, prima che si attivi  il maledetto gps e ti trovi addosso tutti i droni di sicurezza della città."
Rico, pelle d'ambra e cresta di un acceso rosso fuoco che si tiene su in virtù di un'inspiegabile legge della fisica, con la sua voce bassa ed arrochita dal fumo sa sempre come instillarti un po'di buonumore, ma il mecha ha ragione e lavora da ore per migliorare le prestazioni della moto.
"E' per quello che devo imparare il percorso a memoria, non c'è altra soluzione."
Ho provato quel percorso in simulazione per almeno cinque volte al giorno nell'ultimo mese e ancora non ci sono. Devo farcela, devo dannatamente farcela!
"Nahè, è pronta la simulazione?"
La zazzera blu di Nahema mi fissa, e lei mi porge il connettore. Si alza lenta e pigra dal pavimento, accarezza la moto e poi il massiccio bicipite di Rico.
"Allacciati le cinture e vaja con Dios, se ne hai uno, claro"
Immergersi nella matrice non è mai una passeggiata. Sembra come avere il corpo trafitto da mille aghi. Tutte le terminazioni nervose sono estremamente recettive. Chiudo gli occhi e visualizzo ancora una volta quei dannati sei chilometri. Solo l'udito è ancora collegato alla realtà fisica.
"Non ce la farà neanche questa volta, non è mai riuscito a completare la simulazione." Grazie Rico, sei sempre di conforto.
"Sei troppo severo con lui vedrai che ti stupirà. Quinto chilometro."
La risata di Rico è inconfondibile: "Tu lo sopravvaluti Nahema. quattro chilometri e seicento metri,
li c'è una curva bastarda. Dovremmo staccarlo, Guarda come suda!"
Vi sento stronzi. Ancora con questa storia delle scommesse sul momento in cui mi schianterò? Confortante, davvero. Ma ancora una volta Rico ha ragione. Il mio corpo è percorso da spasmi, sudo freddo, Sento il cervello friggere dalla prolungata attività in matrice. Spalanco gli occhi ancora una volta. Il naso mi sanguina, di nuovo.
"Beh dove ti sei schiantato questa volta?"La gentilezza di Rico è come un calcio nelle palle che ti coglie all'improvviso.
"Cinque chilometri e mezzo!" ansimo, sono senza fiato nemmeno avessi corso sul serio.
"Ricarica la simulazione Nahema, ci sono quasi."
Freddo. E' questa la sensazione che si prova quando si viene sparati? Il polpaccio destro non lo sentirei nemmeno più, se non fosse per il sangue che mi cola lungo la gamba. Il vento mi sferza il viso con ostilità. Riesco a tenere gli occhi aperti a malapena, ma ricordo ogni curva, ogni variazione di percorso. Trenta metri, venti, dieci, adesso, curva a destra e prosegui in un condotto di manutenzione per trecento metri. Maledetto Scalise. 
Quando si è accorto della fuga il "Giro della morte" si è tramutato in una caccia all'uomo dalla ricompensa dannatamente invitante: amnistia per  il campione che riesca a catturarmi o uccidermi, ovvio. 
Quando mi sono accorto dei miei due inseguitori, ero già nelle gallerie. Il primo ha provato a speronarmi finché non ha abbracciato il pilone di cemento che segna la curva a destra, al terzo chilometro del percorso. Il secondo ha aperto il fuoco senza lesinare proiettili. Sono riuscito a distanziarlo ma non molla, posso sentire l'eco del suo motore a qualche galleria di distanza. Non mi avrai, maledetto schiavo del potere, non mi avrai.
La stazione Garibaldi mi accoglie con il suo piastrellato nero, con le ventole dell'aereazione consumate che emettono cigolii sinistri ed inquietanti. Il punto d'interscambio, seicento metri mi separano dall'uscita. D'improvviso l'abbaglio di luci al neon. Il cambio repentino di illuminazione mi fa disorientare e sbandare. Rallento, rimetto la moto in asse e riprendo la marcia. Il mio inseguitore ha guadagnato terreno, dannazione.
"Detenuto n°140482, fermati subito." Scalise mi parla dall'interfono. 
Hanno addirittura ripristinato l'impianto per questa chiacchierata. Mi sento lusingato! La sua voce è fastidiosa, il rombo del  motore alle mie spalle mi fa ricordare che non è il caso di tergiversare ulteriormente.
"Cosa pensi di fare una volta uscito di qui? Dove pensi di andare con quel marchio sul volto che ti
identifica come l'ultimo gradino della scala sociale. Chi credi che ti darà asilo o ascolto?"
E' furioso, nessuno è mai riuscito a sfuggire al suo controllo, ma ha dannatamente ragione.
Una   volta fuori di qui la strada è tutta in salita, ma questo non è il tempo delle esitazioni. Accelero.
"Darò alle fiamme il tuo braccio, tutto il tuo braccio oggi stesso. A cominciare da quella maledetta stazione. Nessuno si salverà. Cosa credi ragazzo, che io mi diverta a fare quello che faccio? Ma c'è bisogno di chi in questi tempi bui mantenga l'ordine, vi dia una guida, vi rieduchi ad essere figli ubbidienti della nazione."
"Che ci educhi ad essere schiavi!" grido, non resisto. Ha vinto, mi ha distratto. Posso vedere il parafango del mio inseguitore dagli specchietti. Poche decine di metri ci separano. Prego che non abbia altri proiettili in caricatore. Lo spiraglio, la luce. È un cielo bianco e lattiginoso, ma sa di libertà e mi sembra la più bella giornata che abbia mai visto.
"Nessuno, nessuno ti aiuterà, Nero! E sarai un cadavere entro sera."
Scalise è irritato. Do fondo ad ogni kilowatt di potenza che la moto riesce ad offrirmi.
"Capolinea Direttore" le uniche parole che riesco a pronunciare prima di sparire nella linea bianca all'orizzonte.

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