Era una tranquilla sera di sabato. L’aria era tiepida, e le luci giallastre dei lampioni disegnavano ombre lunghe e tremolanti sull’asfalto del parcheggio. Giulia e Martina erano appena uscite da un piccolo bar di periferia, ridendo e commentando la serata passata con gli amici.

«Aspetta...» mormorò Giulia, fermandosi di colpo. Il sorriso le scivolò via dalle labbra.

Martina si voltò verso di lei, confusa. «Che c’è?»

Giulia indicò con un cenno del mento un angolo del parcheggio, dove una figura immobile si stagliava contro la penombra. Un uomo. Alto, fermo, con lo sguardo fisso su di loro. Troppo lontano per distinguere i tratti del volto, ma abbastanza vicino per incutere un gelo istantaneo.

Martina deglutì. «Andiamocene subito.»

Non servì ripeterlo. Le due ragazze si voltarono e iniziarono a camminare a passo svelto. Ma Giulia non poté fare a meno di girarsi un’ultima volta.

L’uomo si stava muovendo. Le stava seguendo.

«Sta venendo verso di noi!» esclamò con voce strozzata. Il passo si fece corsa. Il battito del cuore di Giulia martellava nelle orecchie. Corsero finché le gambe non iniziarono a cedere. Si fermò ansimando, piegata in avanti, cercando di ritrovare il fiato.

«Ce l’abbiamo fatta...» disse con un sorriso incerto, voltandosi verso Martina.

Ma Martina non c’era più.

«Martina?» chiamò. Nessuna risposta. Solo il silenzio, e l’eco inquietante dei suoi passi.

Un terrore freddo le percorse la schiena. Si guardò attorno, il panico le serrava la gola. Poi corse, senza sapere dove, lontano, cercando una via d’uscita, qualcuno da chiamare. Vide una figura in lontananza: un uomo anziano, con un cappotto scuro, che camminava lentamente.

«Aiuto!» urlò, correndogli incontro. «Per favore, mi aiuti! Hanno preso la mia amica! Un uomo... ci stava seguendo!»

L’uomo si voltò.

Era lui.

La stessa figura dal parcheggio. Gli occhi vuoti, imperscrutabili.

Giulia indietreggiò, tremando. Lui fece un passo verso di lei. Tentò di scappare, ma da dietro una mano ossuta le afferrò il braccio. Urlò, cercò di divincolarsi, ma fu tutto inutile. Un altro uomo, simile al primo, la strinse con forza. Poi, il buio.

Il giorno seguente, le famiglie delle due ragazze videro il telegiornale del mattino. Una notizia in prima pagina: “Misteriosa scomparsa di due giovani ragazze nella notte.”

I genitori di Giulia si precipitarono a casa della famiglia di Martina. La madre di Martina, in lacrime, li accolse sulla soglia.

«Avete visto anche voi la notizia...» sussurrò, la voce rotta dal pianto.

Qualcuno bussò alla porta. Due agenti di polizia si presentarono, confermando le tragiche notizie. Interrogarono i genitori, raccolsero dettagli, promisero indagini approfondite.

Passarono giorni. Poi settimane.

Nessuna traccia. Nessuna risposta. Le ragazze sembravano svanite nel nulla.

Un mese dopo, la sorella minore di Giulia, Elena, era in bagno con la sua amica Chiara. Si stavano preparando per uscire con i rispettivi fidanzati. Ridevano, si scambiavano battute, condividendo il trucco.

Qualcuno bussò alla porta.

Elena si fermò un momento, guardando l’orologio. «Che strano… sono già arrivati?»

«Vai tu ad aprire!» disse Chiara mentre si passava il mascara. «E portami il mio se lo vedi, per favore!»

Nessuna risposta.

«Elena?» chiamò ancora, continuando a truccarsi. Ma il silenzio era calato nella casa come una coperta fredda.

Chiara sbuffò e uscì dal bagno. «Ehi, che fai? Mi ignori?»

Nessuno. Chiamò ancora. Poi udì un rumore nella stanza da letto dei genitori. Si voltò, lentamente.

Il corpo di Elena era steso a terra, le braccia inerti. Una figura scura la stava trascinando dentro l’ombra.

Chiara spalancò gli occhi, il respiro mozzato. Corse a prendere il telefono, ma le luci si spensero di colpo. Il buio la avvolse.

Una mano gelida le afferrò la spalla.

Poi, il silenzio.

Due mesi dopo

Le indagini sembravano essersi arenate. Nessun testimone. Nessuna telecamera utile. Nessuna traccia. Le famiglie, ormai logorate dall’attesa, si aggrappavano a ogni piccolo segnale, ma la speranza stava svanendo.

Una sera, il telefono fisso nella casa dei genitori di Giulia squillò. Era una linea ormai usata solo per le emergenze.

«Pronto?» rispose il padre, con voce spenta.

Dall’altra parte, silenzio. Poi, un respiro. E infine, una voce flebile.

«Papà... sono io. Giulia.»

L’uomo impallidì. «Giulia?! Ma... dove sei? Stai bene?!»

Silenzio.

«Papà, non posso parlare a lungo... Non cercatemi più. Non cercate nessuna di noi. Non siamo più... le stesse.»

Click. La linea cadde.

Il padre rimase immobile, il telefono ancora all’orecchio, mentre il gelo gli saliva lungo la schiena.

La polizia fu subito allertata. Tracciarono la chiamata: proveniva da una cabina telefonica in disuso, in una zona industriale abbandonata, poco fuori città.

Gli agenti si precipitarono sul posto. La cabina era lì, rugginosa, sfondata in parte, con la cornetta ancora penzolante.

Accanto alla cabina, una porta di metallo, semichiusa, dava accesso a un vecchio edificio abbandonato.

Dentro, l’odore era di muffa, ferro e... qualcosa di dolciastro. Le torce illuminarono una grande sala buia, con le pareti coperte di scritte disordinate e simboli tracciati con vernice nera.

E al centro, un vecchio specchio.

Nessuna traccia delle ragazze.

Ma uno degli agenti si avvicinò allo specchio e sussurrò: «C'è qualcuno qui...?»

Il vetro sembrò tremare.

Un secondo dopo, la torcia dell’agente si spense. L’altro cercò di accenderla, ma nulla funzionava. Poi, qualcosa comparve nello specchio.

Non erano riflessi.

Erano volti.

I volti di Giulia, Martina... Elena... Chiara.

Ma avevano occhi vuoti, bocche serrate. Osservavano in silenzio.

Improvvisamente, uno dei volti nel vetro si mosse. Il volto di Elena. Aprì la bocca e sussurrò qualcosa.

“È troppo tardi.”

Le luci si spensero del tutto.

Nessuno vide più uscire quegli agenti da quell'edificio.

Qualche giorno dopo

Sul telegiornale, un’altra notizia. “Due agenti scomparsi durante un’indagine. Ultimo avvistamento: una fabbrica abbandonata. Si teme il peggio”. Nel frattempo, in una casa distante, una bambina di otto anni guardava la TV.

«Mamma...» disse, indicando il telegiornale, «gli uomini  dello specchio erano lì dentro».

La madre si bloccò. «Quali uomini?»

La bambina sorrise, innocente. «Quelli che vengono  a trovarmi ogni notte nello specchio, e che ha rapito quelle ragazze e gli agenti . Dice che presto… verranno anche per noi».

FINE…

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