Gli domandai se abitasse in un’area del genere.

«No. Per fortuna stiamo in un’area privata, vicino ad una casa abitata dal padrone dell'area. Si paga un po’ di più l’affitto del terreno ma è certamente più tranquillo» mi spiegò.

«Ma come…? Non sarebbe meglio vivere insieme ad altri che hanno le tue stesse esigenze?  È come vivere in un campeggio. A me piacciono i campeggi.»

«Già. Ma non è tutto facile. Non sai mai chi può capitarti come vicino. Se non stai attento ti rubano l’acqua o l’elettricità, oppure ti occupano lo spazio per l’auto. Devi sempre essere pronto a discutere e a fare valere i tuoi diritti. Credimi, è molto meglio restarsene da soli.»

«Mi cade un mito. E gli scoiattolini?»

«Di quelli ce n’è in abbondanza. Anche procioni…e qualche cervo che viene a brucare nell’orto dietro casa. Se vuoi la natura… qui ce n’è quanta ne vuoi. Perfino troppa».

«E io che immaginavo una vita felice, in armonia con la natura… evidentemente c’è un'altra faccia della medaglia. Ma la casa è comunque spaziosa? È fredda in inverno?» 

«Per quello non c’è male. Siamo soltanto in due ma ci sarebbe spazio anche per un paio di figli piccoli. Il riscaldamento è ok. Non mi lamento.»

«Meno male», dissi io «cominciavo a pensare che fosse del tutto negativo. Ma vivere in quella casa è stata una scelta oppure “non” c’era altra scelta?»

«”Well” …un po’ una e un po’ l’altra. Diciamo che va bene per noi e per i nostri progetti»

  «”Really”? In che senso?»

«Ora abbiamo finito di pagare il mutuo e possiamo pensare a muoverci, in un altro Stato».

Avevo visto alcuni trasferimenti di quel tipo di alloggi in TV e ne avevo incontrato uno guidando in autostrada. Poteva sembrare strano, certamente costoso, ma non impossibile.

«Hai un’auto così grossa per trascinare la tua casa con te?» chiesi, un po’ ingenuamente.

«Oh, no. Semplicemente venderemo questa e ne compereremo un’altra in un altro posto» rispose ancora ridendo della mia domanda stupida.

«Ma certo. Era ovvio» dissi. E poi domandai ancora: 

«Perché vuoi cambiare Stato? Non è qui dove sei nato?».

«Sì, ma vedi? Per quelli come me qui non è facile. Mi hai detto che stai lavorando in una grande ditta, mi sai dire quante persone di colore vedi nei reparti?»

Dovetti riflettere un po’, ma poi ammisi che non se ne vedevano.

«Hai visto? In questo posto, nel Maine, le persone sono molto conservatrici e ci lasciano un po’ da parte. In altri stati sembra che vada meglio. Non ho ancora deciso dove andare, ma è certo che ci sposteremo.»

«Ok», dissi io. Non avevo molto da dire di fronte a questi argomenti.

«”Do you know”? Io e la mia ragazza vorremmo sistemarci un po’ meglio prima di pensare ai figli.»

«”That’s right”» risposi. Che altro dire.

   In quel momento la mia lavatrice aveva terminato il suo ciclo ed era in attesa di essere svuotata.

Mi alzai per trasferire i miei panni nell’asciugatrice.

Anche Alvin si alzò e si diresse verso le asciugatrici, estrasse i propri vestiti e, intanto che io riversavo i miei nella macchina, mise tutto in due capaci borse e si preparò all’uscita.

«Ehi» gli dissi prima che uscisse definitivamente « “it was nice talking to you, good luck for everything”. »

Lui venne a stringermi la mano e mi disse: «È stato un piacere anche per me. Sicuramente ci vedremo in giro». 

Anche l’altra persona, l’uomo barbuto, aveva quasi terminato e si apprestava ad uscire. Mi guardò un po’ di traverso. Aveva ascoltato tutto. Forse voleva dirmi qualche cosa, ma poi pensò che fosse meglio non dire niente. Solo storse la bocca, indicando con gli occhi la porta da cui era appena uscito Alvin. Poi salutò: 

«”See you”»

Sarò presuntuoso, ma penso di sapere cosa mi avrebbe detto, se solo avesse dato voce ai propri pensieri: “Sempre i soliti, i “neri”. Si lamentano sempre ma sono pigri e fanno spesso ricorso agli aiuti statali. Tutti uguali, buoni solo per lo sport”

In effetti avevo già sentito tante volte queste frasi, al bancone di un pub, con una pinta di birra appoggiata davanti al proprio naso, dette da personaggi del tutto simili al tipo che era appena uscito, magari con una Harley ad aspettarlo fuori nel parcheggio. 

Era, però, l’epoca di Tiger Woods, che stravinceva ad ogni torneo di golf, attività che si credeva non adatta ai ”neri” perché occorrevano abilità che andavano aldilà delle mere qualità fisiche. Erano tutti stupiti, i caucasici, ma dovettero accettare che uno di colore fosse il numero uno anche in quello sport che era quello più seguito nei pub, intanto che si sorseggiava la birra.

È stato meglio così, che non mi abbia detto nulla.

Non ritornai più in quella lavanderia e non ebbi più occasione ti incontrare Alvin. 

Che bel sorriso che aveva.

Buona vita a entrambi, Alvin e fidanzata. 

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