Sono moderatamente soddisfatto dell’immagine che lo specchio riflette mentre mi rado. Mi chiamo Henry Morton Stanley. Ho 28 anni. Sono un giornalista, almeno credo. Mi trovo a Siviglia. Bussano con discrezione alla porta della mia camera. “Avanti!” “Signore, ho un telegramma per lei” “Un telegramma? Va bene dammi qui”
Venga prima possibile a Parigi presso l’Hotel Résidence Impériale . Si tratta di un affare urgentissimo. James Gordon Bennett Jr.
James Gordon Bennett Jr.? Perbacco, il direttore dell’Herald Tribune di New York. Finisco di radermi e riempio le valige senza pensarci su troppo.
Mi fanno entrare nella suite di Bennett. Mi accoglie in vestaglia. “Alle spicce signor Stanley, mi hanno parlato molto bene di lei. Intendo incaricarla di trovare quel dannato Livingstone. Ha combinato molti guai in Africa ma in America ed in Inghilterra rimane un idolo. Lo trovi. Le darò 1000 sterline, e se serviranno altre 1000 e 1000 ancora. Non mi deluda ragazzo.”
In realtà più che un possibile incarico è un ordine. Ed io intendo eseguirlo.
E adesso eccomi qui in viaggio, un lungo viaggio, verso Zanzibar. Come detto mi chiamo Henry Morton Stanley. Sono un trovatello. Mio padre era l’ubriacone del paese e mia madre Dio solo sa cosa fosse. Ho studiato, ho combattuto in America sia con i sudisti che con i nordisti e poi sono diventato giornalista. Almeno credo.
Dovrò trovare questo Livingstone in un territorio sterminato. Non so bene come farò. Non so se ce la farò.
Arrivato a Zanzibar assoldo 2000 locali, per ogni evenienza. Le sterline non mancano di certo. E debbo trovare Livingstone. Di villaggio in villaggio si rincorrono le voci, che seguiamo fino ad arrivare ad Ujiji, sulle sponde del lago Tanganica. A parlarci di Livingstone sono Susi e Chamah devoti al dottore e gli unici del luogo a parlare inglese.
Arrivo dopo ore di cammino al suo cospetto. E’ un uomo di quasi sessant’anni. Ha un aria stanca e vagamente ironica. Ha favoriti e baffi grigi, porta un ridicolo cappello locale. Mi avvicino a passi lenti, sono intimidito da quell’ometto. Gli porgo la mano e dico : “Il dottor Livingstone, suppongo” “Si, sono io” dice lui con un sorrisetto, sollevando il cappello. “Venga, prendiamoci un the. Per quello che vale quello fatto qui” mi dice guardandomi da sopra gli occhiali.
Siamo seduti all’ombra. Io gli dico come e perché sono lì. Lui mi dice che stava cercando le sorgenti del Nilo ma che malauguratamente ha trovato quelle di un fiume che si chiama Zambesi. E’ stanco, lo vedo. Molto stanco.
Tornato in Inghilterra saprò che due anni dopo è morto vicino al lago Banwehulu. Un lago il cui nome significa : il luogo dove acqua e cielo si incontrano. Susi e Chamah lo hanno trasportato per mille chilometri fino a Zanzibar per fare in modo che il suo corpo tornasse a casa. Hanno guardato la nave partire con gli occhi lucidi di pianto. Poi si sono voltati e se ne sono andati.

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