CLAUDIO ‘O ‘MMOCCAFAVA

 

 

  -Nun te preoccupa’, si te ranno ancora fastidio mo’ jammo a chiamma’ a Leonardo, gli dissero due- tre ragazzi, fingendo di confortarlo, mentre gli altri che facevano parte dello stesso numeroso gruppo di “compagnoni”, tutti d’accordo, rientranti nella stessa fascia di età ed abitanti nella medesima zona di periferia della città Salerno, si divertivano a tormentarlo e a minacciarlo, ovviamente prendendolo in giro.

 –Sì, sì bello bello, facitelo veni’! approvò la vittima dei lazzi e degli scherzi, ridendo e battendo le mani come una scimmia in allegria.  

 Questi, Claudio Bottiglieri, Claudio “‘a buttigliella”, questo il suo appellativo- vezzeggiativo, un giovane che in quel periodo fine anni

sessanta aveva  venticinque anni, biondino scarsocrinito con gli occhi celesti, basso e grassottello, ragionava o meglio sragionava col cervello di un bambino piccolo. Nell’infanzia aveva avuto la menengite con delle relative complicazioni e, malgrado le cure, che negli anni passati non erano proprio all’avanguardia, certe pesanti conseguenze di quella malattia continuavano ad influenzare negativamente le sue capacità di ragionamento razionale. Difficilmente, infatti, egli distingueva la realtà dalla finzione. Ingenuo e credulone, facile al riso ed all’entusiasmo, spesso “abboccava all’amo” e subiva quello che gli facevano credere i suoi amiconi “carnefici”. Le situazioni inverosimili per lui diventavano reali, non c’erano limiti e condizioni che tenevano.

-‘O  vuo’ vere’ a Leonardo? 

-Sì, sì, sul’isso puo’ da’ ‘na lezione a ‘sti disgraziati! rispose infervorato il Bottiglieri.

   Il gruppetto di sostenitori della vittima, seguito a breve distanza dagli altri tormentatori fecero un centinaio scarso di metri e portarono Claudio “a’ buttigliella” dal designato protettore Leonardo .

  Questi, un ragazzo alto di statura e di corporatura robusta, soprannominato “Macistiello”, mosse appena il capo ma restò fermo nella sua posizione. Stava voltato di schiena, a gambe e braccia larghe e teneva le mani appoggiate alla parete di un palazzo. 

  -Ciao, Leona’, lo salutarono. -Quanno he fatto, puo’ veni’ sott’ ‘a chiesa?

  -Ciao guagliu’, tenite ‘mmano. rispose -Mo’ nun me pozzo movere. 

  -Ma che sta facenno? chiese Claudio.

  - Nun ‘o vire? ‘O palazzo è pericolante e isso ‘o sta accuncianno pe’ nun ‘o fa care’!

  - Maronna, Maronna mia e che forza, che putenza! esclamò il credulone entusiasmato. –Nisciuno sape fa’ ‘sti ccose!

 -Aggio quase fernuto, precisò Leonardo. – N’ata recina ‘e minuti e levo mano.

   Tutti gli interessati annuirono e mossero i loro passi nella direzione stabilita.

   Quel pomeriggio di novembre non faceva freddo, il cielo era nuvoloso e

spirava un vento leggero. La chiesa del Volto Santo, punto di raccolta di quei ragazzi, era di fattura moderna e davanti al piano d’ingresso aveva una scalinata costituita da una decina di gradini.

   Giunsero tutti a destinazione. Quelli che infastidivano Claudio ripresero   a farlo, con sfottò, provocazioni et similia, secondo un copione prestabilito. I sostenitori-protettori continuarono a fingere di difendere la vittima.

   Arrivò Leonardo Marino, con un atteggiamento fiero e baldanzoso. Subito Geppino Vicinanza, soprannominato ironicamente “Giubbuino” per una sua vaga somiglianza con un babbuino, portavoce dei “bravi ragazzi”, propose ai “cattivi”: -Guagliu’, vulite fa’ ‘na sfida a braccio di ferro cu Leonardo? Sette ‘e vuje se mettono ‘ncopp’’a scalinata, uno a fila all’ato. ‘O Marino se piazza in alto e vuje cercate r’’o fa care’. Si vence isso, nun ata ‘nquità cchiù l’amico nuostro,‘o signor Claudio. -Sissignore, rispose a nome dei tormentatori Lamberto Amatucci, detto “a vecchia”, per i tratti somatici del volto che lo facevano somigliare ad una vecchietta. - Vabbuono accussì…Facimmo subbeto ‘sta gara!

   Claudio intanto rideva contento. Una competizione per lui! Questo lo faceva gioire.

   Si piazzarono secondo la “coreografia” stabilita e diedero vita alla farsa.

Il forzuto Leonardo “Macistiello” in cima tese il braccio destro e gli sfidanti, uno dietro all’altro sugli scalini che si tenevano per mano con la sinistra come una catena umana, mentre quello più in alto, con la destra protesa, afferrava la mano del Marino per fare a braccio di ferro con “Macistiello”. Ogni partecipante simulò comicamente degli sforzi e dopo una trentina di secondi i sette designati “cedettero”, facendo finta di cadere dalla propria posizione. Il trionfatore in alto sollevò le braccia in segno di vittoria e i perdenti si misero a scuotere la testa ed assunsero un’aria sconsolata. Claudio Bottiglieri, saltando ed applaudendo, mostrava la sua felicità. I “tormentatori sfidanti”, sconfitti, dopo qualche attimo di falso smarrimento, presero ad osannare anche loro l’amico Leonardo. Seguendo un cenno di Geppino Vicinanza, infine, fecero dei profondi inchini all’ingenuo Bottiglieri, segnando così la conclusione della stravagante insolita burlesca messa in scena.      

 

 

 

   

 

   

   

     

 

 

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