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«Perché non sei venuto da me?» mi chiese masticando un paio di salatini «Non mi dire che non sai che faccio l’avvocato. Non mi dire che non hai controllato sull’albo». Non provai a mentire. Era primo pomeriggio e il Benbow Bar era desolato come la locanda di Jim Hawkins all’inizio del romanzo. Nelle grandi sale deserte le bugie fanno rumore. Barbara attese la risposta, poi disse: «Forse hai fatto bene. C’è un detto, nell’ambiente: “L’avvocato che si difende da solo ha un cliente imbecille”. Probabilmente vale anche per gli amici degli avvocati». Svuotò il bicchiere (rum e coca) e io lo rabboccai. «Non sapevo che gli avvocati avessero amici» feci. «Quanti ne vogliono» disse lei «soprattutto finché dura la causa e non chiedono la parcella. Seriamente: perché non sei venuto da me?». «Seriamente: ti occupi di diritto penale?». La faccenda risaliva a tre anni prima. Joe teneva una pistola sotto il bancone. Io ero contrario, ma Joe mi aveva chiesto se preferivo tenerci una sciabola. L’avevo spuntata sul nome del Benbow Bar, non potevo averla vinta su tutto, così lasciai perdere. Una notte, poco prima della chiusura, un tizio tentò di rapinarci. Era su di giri e Joe pensò che, davanti alla pistola, se la sarebbe data a gambe. Il tizio era impasticcato e sbronzo, si vedeva benissimo. Non si vedeva che era un campione di Parkour. Saltò il bancone, strappò la pistola dalle mani di Joe e glie la puntò contro. Io afferrai una bottiglia e la spaccai sulla testa del tizio. Partì un colpo. Il tizio si girò contro di me. Fu il mio turno di afferrare la pistola e strappargliela dalle mani. Poi sparai. «Necessità di proteggere sé od altri dal pericolo attuale di grave danno alla persona» recitò Barbara. «Non proprio» la contraddissi «Il tizio si era semplicemente girato verso di me, ma non aveva compiuto alcun gesto ostile. Le telecamere hanno registrato tutto. Fui io a sparargli deliberatamente. O almeno così disse il P.M.». «Scemenze» disse Barbara «vorrei sapere quanti magistrati si sono trovati davanti un tale che gli puntava una pistola contro». «Non abbastanza. Per questo ho dovuto patteggiare con la condizionale». Lei annuì «Già. Anche io ti avrei suggerito di patteggiare. Tu avresti detto che eri innocente, avremmo discusso e tu avresti cambiato avvocato». «Probabile» risposi «È come hai detto: devi trovartici in mezzo per capire. E anche così...». Il discorso finì lì. Il non detto rimase non detto. Io non dissi che il PM aveva ragione. Avevo sparato deliberatamente a quel tizio. E mi era piaciuto farlo. Ma non mi andava che Barbara lo sapesse. Lei non parlò dei lividi che aveva sui polsi e sul collo. Né del fatto che indossasse occhiali scuri malgrado il Benbow Bar fosse buio come si conviene a una taverna.
Per un pezzo non vidi Barbara. Vidi la valchiria, invece. Comparve una sera che c’era una jam session e si sedette, sola, a un tavolo vicino all’ingresso. Io feci finta di non notarla. Qualche sera dopo si sedette a un tavolo più in vista. E poi ancora, e ancora. Sembrava uno squalo che si avvicina a una forma nell’acqua. Io non abboccai. Se voleva parlare con me, lo avrebbe fatto. Tutti parlano col barista. Ci volle un mese perché si decidesse. «Credi davvero che esista un posto così?». Aveva una voce come il tintinnio del ghiaccio in un bicchiere. Guardò il grande quadro a olio appeso alle mie spalle. Un galeone all’ancora in un paradiso tropicale. «Un posto sperduto, lontano da tutto e da tutti» precisò. «No» riposi «Non esistono più isole del tesoro. Il mondo è diventato piccolo.». Lo sguardo mi cadde sul suo decolteè. A proposito di roba troppo piccola o troppo grande. «Sei un filosofo» mi disse. «È solo che conosco un sacco di gente. Qualcosa si impara». «Per questo ti chiamano “il prof?”». La guardai senza dire niente e lei rise «Ho chiesto in giro» disse. Si sporse verso di me. Mi domandai se avrei visto prima l’areola del capezzolo sinistro o del destro. Sarebbe bastato solo un altro piccolo sforzo. «Magari hai qualcosa da insegnare anche a me» tubò. «Credo che tu sia stata già promossa». Lei rise di nuovo, poi si fece seria «Che intenzioni hai con Barbara?» chiese. «Sono un tipo all’antica. Come il comandante di un galeone». Lei annuì ed estrasse la carta di credito. Livello platino. Ci avrei scommesso. La feci strisciare sul POS. Scese dallo sgabello – non le fu difficile con quelle gambe e quei tacchi che già toccavano terra – e fece per andarsene. Prima, però, mi scoccò un’occhiata. «Forse le possibilità ci sono. Forse c’è solo paura di esplorarle». Dopo che se fu andata, Sax si avvicinò. Era il ragazzo, barman e musicista a tempo perso, che aveva preso il posto di Joe dopo la faccenda del tizio saltatore di banconi. Quanto a Joe, se ne stava in un letto, nutrito a drink iniettati via flebo. Nel cambio, ci avevo guadagnato. «Non dirmi che quella sventola ci stava provando con te» disse Sax. «Infatti non ci stava provando. Era un esame». «Io da quella mi farei interrogare tutti i giorni». «In anatomia, scommetto» dissi. E poi: «Devo chiamare Spinny». «Spinny il birraio?». A volte la gente ha poca fantasia coi soprannomi «Spinny l’hacker» precisai. Come ho detto, col mio lavoro conosco un sacco di gente.
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