Sapete quando diventate padroni della vostra vita? quando iniziate a ragionare con la vostra testa. Quando iniziate a ribellarvi per ogni cosa che lede il vostro pensiero, la vostra moralità, i vostri diritti, le vostre idee-Pound diceva: "Un uomo che non è capace di difendere le proprie idee o le sue idee non volgono nulla o non vale nulla lui".Questo lo capirete man mano nel percorso della vostra vita se in voi si forma un carattere positivo e cioè di rispetto verso voi stessiverso la vostra persona. Nel corso dell'infanzia o dell'adolescenza siamo stati quasi tutti condizionati dai giudizi degli altri, genitori compresi, dai loro pensieri. Dalle loro azioni, dai loro cosiddetti insegnamenti. Dalle loro negazioni, vestite dal concetto: " io l'ho fatto prima di te e ti posso dire, per esperienza, che non va bene". Ma la tua esperienza non mi appartiene- Io devo affrontare la mia, altrimentinon mi rendo conto dell'errore che commetto e non commettendo l'errore non avrò l'insegnamento che mi formerà.Si è da sempre detto: Sbagliando si impara. Io da ragazzo ero un monello, un ribelle. Uno che si imponeva di fare ciò che voleva fare. Ero malvisto da tutti.Negli anni '50/60 io e la mia famiglia, abitavamo a Chiaiano dove frequentavo le elementari presso scuola Giovanni XXlll- Mia mamma ogni mattina mi accompagnava. Entravo dall'ingresso principale, lei andava via, ed io uscivo dall'ingresso secondario.Trascorrevo ore a girovagare oppure entravo al cinema e mi estasiavo a guardare il film in programmazione. Non c'erano dubbi riguardante la mia intelligenza, infatti l'insegnante, il maestro Baiano, ricordo ancora il suo nome, diceva a mia madre: "E' intelligente ma svogliato". Quante volte sono finito dietro la lavagna! quante bacchettate sulla mano destra! quante volte con le orecchie d'asino mi faceva girare per i corridoi!Ma, erano altre le cose che mi interessavano. Innanzitutto le ragazzine con le quali giocavo al medico e all'ammalata. Ed erano contente che io fossi il medico.In paese mi conoscevano tutti e, tutti mi volevano uccidere, era una voce unanime. Per ogni cosa che accadeva ero stato io a procurare il danno assieme ai miei amici.Mi chiamavano: 'o cape rione- Mia mamma, quando io e mio fratello trascorrevamo del tempo nella campagna, arrampicandoci sugli alberi, scorrazzando nei vasti campi, in continuazione ci chiamava dalla finestra per assicurarsi che tutto andava bene.  Una mattina, mentre giù in cortile giocavo a pallone con mio fratello e  gli amici, scivolai e caddi su di una bottiglia rotta, il braccio destro si tagliò in due, data la violenza dell'urto non mi accorsi del sangue che fuoriusciva. Un mio amico me lo fece notare. Scappai subito sopra da mia madre. Per le scale c'era sangue ovunque. Fui portato di corsa al pronto soccorso che non era molto distante da casa, accompagnato da mia madre e dalla nostra vicina. Dovettero cucire la ferita ed il dolore che sentivo mentre l'ago entrava nella carne e, mentre mia madre mi stringeva per non farmi scappare, le più grandi parolacce e bestemmie, le indirizzavo al medico che mi stava curando. Porto ancora il segno della sutura.  Quando la sera rientrò mio padre, colpito dalle macchie di sangue per le scale pensò che la proprietaria aveva ammazzato il maiale. Di frequente, quella povera donna di mia madre, litigava con le persone che mi attribuivano cose che non avevo fatto e, per stare tranquilla ogni qualvolta scendeva a Napoli per andare dai suoi fratelli e dalla propria mamma era costretta a portarmi con lei. Poi accadeva che come si rendevano conto  della  mia presenza dicevano a mia madre: "Ah, si venute cu chiste ‘e vattenne!"  (sei venuta con questo e vattene) nessuno mi sopportava e tutt’ora per altre ragioni, in particolar modo la mai sincerità, mi sopportano- Ma io me ne infischio in quanto sono io e nessuna maschera copre il mio volto-

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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