Era la fine degli anni 90 quando ricevetti una telefonata da un numero sconosciuto. Alla mia risposta una voce d’uomo mi salutò in maniera molto confidenziale dicendo di essere Mario, un mio vecchio compagno di scuola ai tempi dell’istituto tecnico. Dopo un attimo di smarrimento, dovuto più al tanto tempo passato che ad un mio deficit di memoria, lo riconobbi. Erano trascorsi quasi trenta anni, mica bruscolini. Fui molto contento di quella telefonata, Mario lo ricordavo con piacere, perché oltre che compagni di scuola eravamo anche e soprattutto compagni di stadio, visto che spesso ci incontravamo in curva Nord durante le partite della Lazio. Dopo i soliti convenevoli d’obbligo tra due persone che non si vedevano da tanto tempo, Mario passò al nocciolo della telefonata. Stava organizzando una cena tra vecchi compagni di scuola, una rimpatriata di quelle che sicuramente avrebbero fatto bene allo spirito, ma certamente tanto ma tanto male agli occhi, in fin dei conti dopo più di un quarto di secolo non eravamo più ragazzini. Mi parve subito un’ottima idea, aveva già contattato diverse persone e tutte avevano dato la loro disponibilità, come del resto la diedi io. Ci salutammo con l’impegno da parte sua che mi avrebbe richiamato per confermarmi la data esatta della cena. E così fu.

Mario riuscì a scovare, con un lavoro di ricerca certosino, circa una trentina di ex compagni di scuola. Ci saremmo rivisti a distanza di tanto tempo, che effetto avrebbe fatto a ciascuno di noi? Ci saremmo riconosciuti tutti? Nei giorni a seguire pensai spesso a come sarebbe stata quella serata. Venne fissato come luogo di incontro la stazione ferroviaria Roma-Lido; io, terminato il mio lavoro, mi diressi con largo anticipo e non senza emozione sul luogo dell’appuntamento. Mario era già lì, passeggiava avanti e indietro sul marciapiede, probabilmente emozionato quanto e più di me. Nonostante avesse baffi e pizzetto e indossasse un basco da paracadutista lo riconobbi immediatamente, non era cambiato affatto. Il tempo di un caloroso abbraccio che iniziarono ad arrivare gli altri. Alcuni erano facilmente riconoscibili, avendo la loro fisionomia mutato ben poco, mentre con altri bisognava pensarci un pochino, vuoi per la struttura fisica stravolta, vuoi per la presenza di barba e baffi e incipiente calvizie che sui banchi di scuola erano completamente assenti. Era un intreccio di mani che si stringevano, abbracci a non finire, risate e smorfie di stupore.

Cominciavano già a volare i primi ricordi e a formarsi i primi gruppi, che altro non erano se non i gruppi dell’epoca, ma fu solo un attimo perché nel momento in cui arrivava un nuovo compagno il gruppo si ricompattava. Ad un tratto notammo un signore che passeggiava da alcuni minuti avanti e indietro sul marciapiede opposto, volgendo spesso lo sguardo verso di noi ma senza avvicinarsi. Sarà uno di noi? Pensò qualcuno. Probabilmente non era sicuro che fossimo noi i suoi ex compagni di scuola. Trascorse qualche altro minuto poi, vinta l’indecisione, lo vedemmo avvicinarsi e riconoscemmo in lui Giuseppe. Irriconoscibile! Con i baffi bianchi e completamente calvo sarebbe stato un perfetto estraneo se l’avessimo incontrato per strada. Alla spicciolata arrivarono tutti e ci spostammo al ristorante prescelto. Ci era stato preparato un tavolo disposto a ferro di cavallo così da fare in modo che fossimo tutti abbastanza vicini vista l’importanza della serata.

Naturalmente a tavola si riformarono i vecchi gruppi che erano di norma ai tempi della scuola. Mario prese la parola per spiegare il perché di questo raduno tra ex compagni di scuola, dicendo inoltre che per i futuri incontri avrebbe cercato di rintracciare anche qualche vecchio professore. Un piccolo applauso e ci sedemmo tutti. Tra una portata e l’altra si spaziava su argomenti più disparati, dai vecchi ricordi di scuola alle nostre situazioni familiari. Così si scoprì che il diploma che conseguimmo alla fine degli anni 60, cioè perito chimico industriale, non fu di utilità a quasi nessuno di noi, chi lavorava in aeroporto, chi aveva intrapreso la carriera militare, altri lavoravano in proprio.

L’unica cosa che ci accomunava tutti era questo cordone ombelicale che si chiamava scuola e che ci aveva riuniti, anche se per poche ore, in quella meravigliosa serata conviviale.

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