Detestava le convention aziendali.

Erano la celebrazione della mediocrità, l'apoteosi dell'omologazione, ma non si poteva sottrarre a quell'evento.

Era stata attuata una fusione e quella era l'occasione organizzata affinché le due realtà iniziassero a conoscersi all'avvio di mutamenti che avrebbero sconvolto gli attuali assetti. 

Giunse a Riccione da solo. 

Non aveva instaurato alcun legame, neppure labile con i colleghi. 

Eppure era socievole e divertente.

Loro, però, sapevano che li detestava.

Il sentimento era consapevolmente reciproco. 

La hall del palazzo dei congressi era gremita di giacche, cravatte, tacchi vertiginosi, gambe nude e procaci scollature che vociavano, gracidavano e depredavano i tavoli del buffet.

Anche quell'atteggiamento di puro egoismo lo irritava. 

L'eleganza era il concetto più distante da ciò che aveva davanti. 

Si diresse alla sala conferenze, prima che la folla si muovesse. 

Era davvero ampia. 

Riusciva a contenerli quasi tutti. 

Erano circa cinquecento. 

Si posizionò in ultima fila, verso l'esterno, così sarebbe potuto uscire senza disturbare. 

Dopo i convenevoli rituali, sul grande schermo i relatori illustrarono i numeri della fusione, sia attuali, sia futuri. 

Odiava i numeri, i dati, le statistiche. 

Li considerava la morte della fantasia, della libertà. 

Trascorse un paio d'ore di buia tortura, sinché giunse il sole della curiosità che gli rallegrò il cuore e l'attenzione. 

Il relatore era un avvocato milanese al quale una malattia aveva sottratto la vista. 

Non per questo, però, aveva perduto la capacità di vedere e li sottopose ad una prova per dimostrare tale verità, con l'aiuto di alcuni assistenti. 

Furono distribuite delle mascherine da porre sugli occhi. 

Quando furono tutti bendati, la sua voce calda iniziò a descrivere un quadro, partendo dalla collocazione temporale: la Roma del 1600. 

I dettagli del dipinto, le sue sfumature, i chiaroscuri, i lampi di luce conducevano l'ascoltatore davanti a quel quadro. 

Lo potevi vedere. 

Terminata l'esposizione, chiese di rimanere ancora bendati e rivolse alla sala la domanda: "Qualcuno di voi ha visto quest'opera?" 

Alzò la mano. 

"Bene! Solo uno? Come si chiama?" Tra le mani si ritrovò un microfono, porto da uno degli assistenti che lo aveva segnalato. 

"Occhi, Andrea Occhi. Buffo, no?" 

Una breve risata si alzò dalla platea. 

"Cosa hanno visto i suoi... Occhi?" 

"La sua descrizione è stata precisa e dettagliata. Non sono un esperto d'arte, ma le mie conoscenze hanno seguito ed interpretato le sue parole. Conosco un solo grande artista del 600 a Roma: Michelangelo Merisi, il Caravaggio. Quando ha reso le minuziose descrizioni della luce e delle ombre sulla tela, ne ho avuto la certezza. I personaggi descritti mi hanno condotto al titolo dell'opera: la conversione di San Matteo. Egli è sempre rappresentato seduto ad un banco a fare di conto. Matteo prestava denaro. Siamo ad una convention bancaria...". Lasciò il discorso sospeso a sottolineare la conclusione del ragionamento.

"I miei complimenti. I suoi occhi vedono non solo ciò che accade loro davanti, ma anche ciò che potrebbe accadere.  I cambiamenti, il buio, non la spaventano. Ha gli strumenti che le consentono di varcare il confine fra ciò che è e ciò che sarà. La lungimiranza è un dono che consente di adattarsi al cambiamento prima che esso avvenga, non lo nasconda, anche se può generare solitudine. 

Abbiamo risorse inimmaginabili. Io sono privo della vista da qualche anno, ma conosco le sfumature di un tramonto, i colori dell'autunno, il candore della neve. Posso descriverli. Provate, invece, a raccontarlo a chi non li ha mai visti. Sembra impossibile. Eppure vi ho dimostrato il contrario. Si può vedere anche con le parole. Ascoltate i vostri occhi! Non vi spaventi l'incertezza del buio che della luce è l'evidenziatore. Siate visionari, poiché dalla loro fusione, e dalla vostra, appariranno nuovi scenari, nuove opportunità che ora vi paiono impossibili"

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