Siamo arrivati" disse Davide raggiante.
"Chissà cosa credi di trovare nella soffitta della Desolina, proprio non so" rispose l'altro.
La Desolina, un'anziana contadina di oltre settant'anni, aveva risieduto in gioventù in Francia, dove conobbe Raphael che diventò suo marito. Da oltre un secolo la sua famiglia possedeva la casa di Riò, dove lei era arrivata nel dopoguerra; trasferendo, nel contempo, i ricordi degli avi: perlopiù oggetti d'altri tempi, uno ad uno eran finiti in soffitta creando un patrimonio di vecchiume. I due si calarono circospetti sul ballatoio. Impossibile vederli, in quanto quella soffitta sovrastava le altre. Si concessero un momento di pausa sedendo sopra alcune casse. Sotto, nella corte, una dozzina di galline e qualche anatra gironzolavano alla perenne ricerca di cibo. Dal campanile della chiesa di Sant'Antonio pervenne, e risonò argentino, il colpo della mezz'ora di una campana. Dalla parte del fabbricato si scorgevano i colli pietrosi intersecati dai vigneti sui quali dondolavano, scossi dalla brezza, grappoli d'uva quasi pronta per la vicina vendemmia; ed i prati ancora verdi e vellutati; e gli alberi di melo, pero, ciliegio e noce. A guardar bene si vedeva anche un tratto della strada asfaltata che conduceva in brevi rettilinei e nervose curve a Duecastelli. Il caldo sole di quell'insolito meriggio intiepidiva i tetti di quelle case rurali. Sia Davide che Scalchi rimboccarono le maniche della camicia. Entrambi con i capelli arruffati, gl'indumenti sporchi di polvere e di ragnatele, parevano spazzacamini. Si alzarono; bastava un salto. Davide si portò sopra una grossa trave, sedette e lasciò scivolare il proprio corpo verso il basso, tenendosi fortemente aggrappato con le scarne mani. Mollò quindi la presa, facendo un volo di un paio di metri. L'amico lo imitò raggiungendo con un cupo tonfo il pavimento della soffitta. In un angolo del locale stavano quattro pesanti cassepanche di legno rinforzate con profili di ferro, borchie, ed abbellite con un rivestimento di cuoio. Vicino, una culla piena di stracci; nei pressi del ballatoio, una tavola colma di castagne rinsecchite dagli anni.
"Dài, apriamo le cassepanche" disse Davide rivolgendosi all'amico che stava schiacciando un grosso ragno nero con la croce sotto la scarpa. Uno per parte, afferrarono le maniglie della prima cassa, la più grande, piuttosto leggera. La sollevarono deponendola in mezzo alla stanza. Non aveva il lucchetto; fu sufficiente sollevare due staffe arrugginite. La apersero lentamente, trattenendo il fiato. Scalchi tuffò le mani in una miriade di lettere ingiallite e qualche fotografia.
"Apriamone un'altra" disse Davide evidentemente deluso.
"Un momento, un momento," rispose Scalchi sottovoce "fammene leggere almeno una."
"Sono scritte in francese, non ci si capisce niente" fece Davide.
"Dài a me" rispose Scalchi estraendo rapidamente una lettera dalla rispettiva busta spiegazzata.
"È semplice" disse. "Questo che scrive era un sottufficiale dell'esercito di Napoleone III. Si chiamava Jean Michael."
"Ha sì?" disse Davide fingendosi interessato. "E poi?" aggiunse curioso, sporgendosi con lo sguardo sulla lettera.
"E poi niente. Non vorrai mica passare il pomeriggio a leggere le cose scritte più di cent'anni fa? Guardiamo piuttosto nelle altre casse; e filiamo."
Davide strappò alcuni francobolli dalle buste e se li infilò nella tasca posteriore dei pantaloni di fustagno. La seconda cassa conteneva abiti smessi, un paio di cappellini da donna ingentiliti da qualche svolazzo, qualche asciugamano ed una tovaglia ricamata a mano con i rispettivi tovaglioli. La terza cassa, in legno di noce, stava chiusa col lucchetto arrugginito.
"Maledizione" sbottò Davide. "Il lucchetto non ci voleva. Questa è la cassa più pesante. Qui dentro c'è qualcosa di grosso."
"Lasciamola per ultima" disse l'amico. "Aiutami piuttosto a spostare questa, che è pure greve."
Afferrarono la quarta cassa aperta, come la prima e la seconda, ma massiccia, zavorrata, faticosissima da muovere, e la appoggiarono sopra la terza, rimasta intatta. Sollevarono il coperchio, e le cerniere anchilosate scricchiolarono sinistramente. Conteneva un paio di tenaglie, un martello, un pacco di chiodi da carpentiere arrugginiti, dei bicchieri di cristallo decorati e numerose catene da camino, quelle che d'uso servivano per appendervi il paiolo in rame per cuocere la polenta. Davide afferrò subito il martello, e stava già per scagliarsi contro la serratura della terza cassa quando Scalchi gli agguantò l'avambraccio fermandolo.
"Vuoi che ci sentano quelli giù nel cortile?" bisbigliò digrignando i denti.
Poi prese la tenaglia e incastrò la ganascia tra il lucchetto e l'anello metallico fissato alla cassa. Davide lo aiutò a far leva con tutta la forza che aveva in corpo. Infine il lucchetto cedette improvvisamente ed i due ragazzi perdettero l'equilibrio cascando all'indietro, su lerci sacchi. Ma, evidentemente, quel che più importava era l'aver aperto la fatidica terza cassa. L'aver compiuto un'ennesima trasgressione li rese maggiormente complici. Si rialzarono come molle e si misero in ginocchio sollevando, uno per lato, il consistente coperchio. Anche questa volta le cerniere arrugginite cigolarono. Davide tolse una vecchia coperta, e sotto uno spesso strato di segatura riaffiorò l'impugnatura di una splendida sciabola, fornita ancora del fodero in cuoio terminante con una guarnitura in ottone opaco.
"È bellissima" sussurrò.
L'altro annaspò brevemente nella segatura e carezzò una strana sagoma. L'afferrò con entrambe le mani: si trattava di un fucile ad avancarica, certamente appartenuto, come d'altra parte la sciabola, a quel Jean Michael sottufficiale delle lettere.
"Splendido" disse Scalchi levandosi in piedi e puntando l'arma in aria quasi per verificarne l'efficace funzionamento. Il fucile aveva una lunghissima canna brunita, gli anelli con l'asta di caricamento inserita, decorazioni floreali sul cane e sulle altre guarniture in ottone. Il grilletto terminava con una piccola spirale.
"Presto, andiamocene" disse il ragazzo all'amico che aveva sguainato l'arma intarsiata. Davide reinserì rapidamente la lama nel fodero e l'appese a un chiodo che sporgeva dalla parete.
"No, oltre al danno anche le beffe. No, prima di andarcene rimettiamo almeno in ordine le casse."
Una per una rimisero le casse al loro posto; con la variante che la terza cassa col lucchetto forzato finì dietro le altre, rendendo mascherato l'antefatto. Presero quindi le armi, pronti per tornare col lauto bottino alla soffitta di partenza; ma c'era il problema della risalita. 
 

© Giuseppe Patellaro
 

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