...Anny fu svegliata di soprassalto dai suoi genitori mentre fuori scoppiava il finimondo e, fuggendo per mettersi in salvo, sorvolarono il luogo dove abitava Tesoro. Tutto appariva arso e incenerito e Anny, immaginando il peggio, si sentì impazzire dal dolore.

Volarono per miglia e miglia e scelsero di ricostruire il nuovo nido oltre la foce di un ampio fiume contornata da candide spiagge e bagnata da mare generoso.

Anny volle dimenticare il suo sogno d’amore, o credette di poterlo fare. Qualche tempo dopo si sposò, ma non trovò ciò di qui aveva bisogno e, pur lottando con tutte le energie per l’amor fedele del suo nido, lasciò che le onde della passione cullassero il suo cuore e ogni notte, col chiaro di luna, sperava in ogni forse e attendeva da ogni dove.

Finchè una sera, rincasando, fu colta dal buio e cadde in un canale melmoso e putrido dal quale uscì grazie all’aiuto del suo innato candore, seppure con le penne mal conce e olezzanti. Si tolse e nascose tutte le sue robe sporche in fondo alla stiva di una barca arenata sul litorale, il cui relitto ottuso giaceva riverso, abbandonato alla mercè della marea. Si nettò e si profumò, ma non riuscì a togliersi la sgradevole sensazione di espandere quel fetido retaggio. Accorata da tali amarezze, saltellava sulla sabbia della riva del mare, quando, a ridosso di un lentischio, scorse il corpo stracco di un gabbiano.

Con la consueta caritatevole premura, Anny si accinse a soccorrere quello sventurato e dopo essersi assicurata che egli fosse ancora in vita gli prodigò le prime cure. Mentre si prodigava a tali pietose operazioni, Anny, dolcemente turbata, riconobbe il suo Tesoro e, ringraziando il cielo lo strinse a sé, donandogli mille baci, coprendolo di mille carezze e inondandolo con mille lacrime di felicità. Lo curò col suo amore, dicendogli così: < Dentro di me c’è qualche cosa di speciale che non ho mai dato a nessuno e voglio riuscire a darlo a te!>.

Tesoro si ristabilì prontamente. Durante i loro appassionati incontri le confidò tutte le pene sofferte per poterla ritrovare. Anny, a sua volta, gli descrisse le angosciose amarezze dell’attesa, nella labile certezza che il suo gabbiano l’avrebbe un dì ritrovata, non celandogli nulla, tanto meno la lordura con la quale si sentiva ancora intrisa. Ma Tesoro, che conosceva il suolo di mille monti, gli abissi di mille mari e i vertici di mille cieli, le disse che le lacrime della sofferenza lavano ogni macchia, specialmente quelle inevitabilmente conseguite cadendo nel fango da chi percorre la via dell’amore; unì le sue lacrime a quelle di Anny che, calando copiose, detersero ogni scoria. Il loro sentimento si modellava sempre più, unendoli in un solo unico grande amore.

“Quando due poeti si amano, volano in paradiso e la loro felicità è musica per gli angeli che diffondo la loro letizia sul mondo, avvolgendolo in una dorata cascata di raggi di sole.”

Ma l’amore è arrogante e pretende il massimo in quanto è tale, e quando alla notte Anny rientrava al talamo nunziale, Tesoro non si dava pace e accusava la inconcludente, seppur premurosa, cometa di averlo salvato, ma beffato con quell'amore a metà.

Così mortificato, il nostro gabbiano si alzò ancora nel cielo per cercare, adirato, la vaga cometa. Trovò Erato nel settimo cielo, liricamente adagiata su mille soffici strati, estasiata da mille melodiose odi di fate e cullata da mille carezzevoli ali. La tirò per la coda risvegliando in lei le assopite virtù. La leggiadra cometa, punto scossa da quelle ire, intrigante e misteriosa lo esortò a raggiungere l'amata senza informarlo di come avesse già interceduto a lor favore, presso un suo “fatale”amico che soleva  corteggiarla assiduamente bramandone non sempre invano le sue grazie.

Infatti, l’irriducibile “romantica” aveva opportunamente sedotto il concupito Destino promettendogli mille lascive carezze, avvolgendolo in mille voluttuose spirali ed elargendogli con mille audaci piroette la visione dei suoi intimi segreti… ed egli non esitò ad avallare, come avveniva di consueto, la richiesta di alcuni privilegi per i quali in modo così persuasivo la libertina cometa si era prodigata a favore dei suoi pupilli.

Allorche Anny non trovò più il suo Tesoro al solito rifugio, l’attese sconsolata sulla spiaggia scrutando il cielo e il tacito orizzonte e languendo asseriva così: <Quando guardo il mare vedo te, così grande, così immenso!>. Infine, esausta e affranta, cedette allo sconforto e raccolse tutte le sue robe sporche dalla stiva della barca, ne fece una pira che poi incendiò affinché non potessero insozzare più nessuno, poi si avvolse in aromatiche erbe purificatrici per non contaminare anche il cielo e si distese a sua volta sulla pira.

Ma cometa Poesia, che vigilava ruffiana il loro amore, smorzò le fiamme con la sua coda portentosa e siccome ad Anny si erano già incenerite le penne, provvide a rivestirla di un leggiadro piumaggio ricavato dalla parte più iridescente della sua stessa coda e, affinché non restasse più niente del passato che potesse affliggerla, le cambiò il nome Anny in quello di Fenice. Le soffiò un pulviscolo di baci e, ancheggiando tra le nubi, svanì.

Fenice più bella e casta che mai si congiunse tosto col suo amato Tesoro. Ma il Destino, non certo privo di senso pratico, congiunse per sempre il gabbiano e la Fenice alla cometa, affinché diffondano nei cuori trepidanti delle giovani coppie che li avessero ammirati risplendere in quel cielo la lieta novella che un dì avrebbero ottenuto ciò che unitamente avevano sognato. Così Tesoro e Fenice tornano ogni anno a ferragosto a rivedere la loro isola natia, che nel frattempo è tornata a prosperare nella quiete e nella serenità, e ogniqualvolta sorvolano estasiati e commossi l’antica spiaggia del loro primo bacio, pare loro di scorgere tra le ombre della sera due gabbianelli abbracciati, seduti sotto le stelle con la... mano nella mano e il cuore in tumulto, che trasognati li stanno osservando, mentre un sospiro sgorga allo unisono dal loro petto spasimante d’amore.

 

Stessa serata d’estate, stessa terrazza sul mare, stessa coppia sotto lo stesso cielo stellato che guarda rapita la stessa lucente cometa.

< Guarda Fenice, c’è qualcosa che vola in controluce alla cometa! Paiono due meravigliosi uccelli abbracciati >, dice lui indicando nel cielo. E lei, poco distante, gli risponde con la sua solita grazia: < Dove Tesoro? Da qui non li vedo! >

< Vieni, avvicinati, guarda lassù! >, la esorta lui con fare suadente e all'approssimarsi della sua compagna, le cinge la vita con le mani in un tenero ma risoluto abbraccio, attirandola a sé e cercandole le labbra. E lei con la voce calda e roca dell’abbandono gli risponde: < Lo sapevo, adorabile imbroglione, che si trattava di un altro dei tuoi amabili trucchi >.

E tace per rispondere al suo bacio.

 

Gian Piero Roggerone 2002

 

 

 

 

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