A destra del salone la sala da pranzo buona, con il tavolo di legno e marmo e i servizi di piatti e bicchieri chiusi a chiave.

In pratica, non si entrava in quella stanza, salvo ai pranzi e alle cene delle Feste comandate.

Come il pranzo pasquale e quello natalizio, due battaglie per lo stomaco.

A Pasqua, dopo un pranzo senza fine, arrivava la pastiera preparata da Margherita: piena di ricotta e canditi, era alta quasi dieci centimetri. Una bomba! Non ne ero appassionato e la rimandavo alla colazione dei giorni successivi.

 

Altra porta e si entrava nel corridoio che portava alla cucina/bagno.

Questa era la stanza più divertente.

Immaginate di entrare e di trovarvi, sulla destra, nell'ordine: frigorifero, fornello, lavandino, vasca da bagno.

Al centro un tavolo. Sulla sinistra dei mobili da cucina e, in fondo, un piccolo vano che conteneva il gabinetto.

Tutto nella stessa stanza!

Come in ataviche tradizioni (non del tutto scomparse, pare) la maggior parte della giornata si trascorreva lì. Dall'operazione "lavaggio" alla prima colazione collettiva sul grande tavolaccio, per prepararci e andare a scuola.

Il sabato pomeriggio era dedicato al bagno e, con una sola vasca, si facevano i turni. Chiaramente con le femminucce nell'acqua si dovevano chiudere tutte le porte per evitare sguardi indiscreti.

 

All'ultima stanza si accedeva dalla cucina ed era la stanza da pranzo, quella di tutti i giorni, dove noi figli si studiava e dove c'era il televisore, arrivato nell'anno della mia nascita, e la minuscola scrivania che Vincenzo usava per far di conto e rivedere le carte del lavoro.

Solitamente quando era a casa, a pranzo e per cena sempre non prima delle nove di sera, passava il tempo seduto alla scrivania fra le carte e la calcolatrice.

Per questo la domenica era dedicata, in parte, al riposo!

 

E quante serate trascorse davanti al televisore, in compagnia di amici e vicini di casa, a vedere gli storici LASCIA O RADDOPPIA, IL MUSICHIERE, I MONDIALI DI CALCIO.

Anche perché, essendo Vincenzo commerciante di elettrodomestici, in casa arrivavano sempre prima i nuovi articoli.

 

In pratica vivevamo in dieci in quella casa!

 

Inoltre cucina, sala da pranzo e ingresso avevano un balcone che dava su un ballatoio che le percorreva tutte e che affacciava sul vasto cortile interno del palazzo.

 

Per finire, ultimo ma non meno importante, il nostro fiore all'occhiello.

Dal balcone dell'ingresso si accedeva anche al mitico terrazzo, che affacciava sempre sul cortile, usato perennemente da me, Sergio e dai soliti due figli dei vicini, per interminabili partire di calcio (tempo atmosferico permettendo).

Quante volte il pallone urtava qualche pianta posta sul bordo del muretto dello stesso terrazzo facendola cascare di sotto nel cortile, sfracellandosi sul pavimento o, peggio ancora, finendo su qualche auto in sosta.

Il problema grosso era che nel cortile c'era l'ufficio, con il deposito e il garage, del lavoro di Vincenzo e, quando accadeva il misfatto, lui era spesso presente e... lascio immaginare le conseguenze!

 

Il suo negozio era sulla grande strada, a pochi passi da casa. Lo vedevamo bene dal balcone della solita stanza da letto nuziale.

 

Dovevo essere, senza allora rendermene chiaramente conto, un bambino vivace: intorno ai due/tre anni (forse provando già allora disagio per chiusure e costrizioni) ho percorso i gradini delle due rampe di scale e mi sono diretto all'ingresso del palazzo... avviandomi all'esterno!

Per fortuna, accanto al portone c'era il negozio del pescivendolo che ben ci conosceva, il quale si accorse di me, mi fermò in tempo, forse chiedendomi dove volessi andare, e chiamò Margherita dal cortile, che mi venne a recuperare molto preoccupata. Non si era accorta della mia fuga!

 

Tutto scorreva tranquillo nella grande casa.

 

Verso i sei/sette anni la vaccinazione di gruppo, con il medico e i familiari a rincorrerci per le stanze con quest’ovatta imbevuta di qualcosa che, piazzata sulla parte superiore del braccio, doveva servire a preservarci da... non ricordo cosa.

Il risultato erano i nostri pianti e un'enorme chiazza sul braccio, rimasta lì a imperitura memoria.

 

Di fronte al portone c'era la salumeria di "tutti i giorni" (allora non erano ancora così diffusi Supermercati e simili), che i miei conoscevano da qualche tempo e dove si faceva la spesa settimanale per la grande famiglia.

Si ordinava dal balcone e si pagava alla fine della settimana.

La pasta si trovava in enormi cassettoni (non esistevano tantissime varietà, giusto quelle di base), era presa con grossi cucchiai di alluminio o rame e impacchettata in coppe, manipolate dal negoziante, di carta ruvida, spessa e blu.

La cosa più divertente era l'arrivo dei bucatini doppi, arrotolati in questa stessa carta, che spesso bisognava spezzare per utilizzare come pasta corta.

E allora tutti intorno al tavolo in cucina: era un gioco per noi figli, che ci tiravamo i pezzi venuti male, sotto lo sguardo e le grida di Margherita, che ci teneva a bada. Chiaramente, la cosiddetta ‘pasta mista’ si componeva (sia in casa sia in salumeria) con i resti di tutti i tipi di pasta rimasti inutilizzati o invenduti.

Un altro divertimento era la preparazione della pasta fresca in casa e l'operazione del taglio della pasta attraverso le scanalature della pesante macchina di ferro era diventata come un gioco riservato a noi ragazzi. Girare quella manovella ci sembrava un tocco d'artista e ci impegnava con serietà di adulti.

 

(continua)

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