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Davanti all'altare, sotto al Cristo Pantocratore che brillava d'oro, circondato da vasi di fiori bianchi grandi come alberi, con la musica che suonava la marcia nuziale e le gambe che tremavano. Mia mamma che mi aveva condotto fin qui, rimase ferma accanto a me fino al momento in cui la sposa varcò la soglia della cattedrale al braccio del suo papà, che era emozionato tanto se non più di me. L'organo alzò i toni, mia mamma tornò al suo posto nel banco dei parenti , accanto a me Filippo, fratello e testimone. Dall'altro lato Carmelo, fratello e testimone della sposa, che avanzava lentamente nella navata che sembrava non finire mai. La guardavo negli occhi e vedevo le lacrime represse, le foto sarebbero state uno splendore. Indossava l'abito di pizzo che le suore del convento di Clausura avevano ricamato e confezionato per la nonna e che era stato anche l'abito di sua mamma ed ora lei. La più bella di tutte, valorizzava con la sua figura i pizzi e le perle e i cristalli dei ricami. Il velo scendeva dalle spalle fino a terra in un lungo strascico retto alla fine da Lisa e Luca. In testa una coroncina di fiori d'arancio freschi. La tradizione dice che le zagare portino fortuna alle novelle spose ed erano amate anche dagli antichi romani e dai greci, dicono che il profumo sia afrodisiaco. Ero già fuori di testa anche senza fiori.
Presi la mano che suo padre mi porgeva e mi chinai a baciarla con un perfetto inchino. L'avevamo provata mille volte e risultò perfetto, un baciamano da manuale.
Inginocchiata accanto a me ascoltava le parole del prete che io non sentivo e nemmeno capivo. La sentii rispondere - Si lo voglio - con voce ferma. Toccava a me e risposi come un automa - Si lo voglio - ( ci mancherebbe pensai ).
Avrei voluto essere a mille miglia lontano da lì con lei e col nostro bambino che da tre mesi riempiva i miei pensieri, e anche se mancava tanto alla nascita lo sentivo presente. Mi pareva di sentirlo muoversi dentro di lei, che si voltò e mi sorrise. Aveva capito e sentito i miei pensieri. Non vedeva l'ora di restare sola con me e dovevamo ancora affrontare l'interminabile pranzo che se non dura almeno cinque, sei ore o più il matrimonio non è valido come non è valido se ci sono meno di duecento invitati e se non si balla tutta la notte, Non è valido se non ci sono almeno cinquanta brindisi più o meno maliziosi, il taglio simbolico della cravatta. Le odiavo tutte queste tradizioni. I due papà decisero di mettere all'asta la cravatta e se la aggiudicò uno zio della sposa acquistandola per una cifra da capogiro, tanto lui era ricco. Alle cinque del mattino decidemmo che ne avevamo abbastanza e volevamo andare a dormire, suscitando una bagarre di cori tra tutti i giovani, i testimoni e le damigelle che si offrirono di portarci a casa. Invasero il nostro appartamento in cinquanta facendo tutto il fracasso che riuscirono a fare e al quale si unirono anche i vicini di casa. Portai attraverso la soglia, mia moglie .
Mi faceva effetto dire mia moglie. La portai direttamente in camera da letto e ve la deposi delicatamente.
Uscii e buttai fuori tutti quanti senza tanti riguardi. Di loro si occupò mio fratello che li condusse a fare colazione in un bar li vicino. Noi due, quasi tre ci addormentammo esausti. Anche se non era ancora nato era parte integrante di noi due e saremmo sempre stati in tre o quattro o cinque o chissà quanti altri ne sarebbero arrivati.
dedicata ad un amico e al Duomo di Monreale che mi ha affascinata.
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Utente Anonimo
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