Ritrovarsi

 

 

 

La grande terrazza dell’ hotel Vesuvio sul lungomare di Napoli era addobbata con migliaia di fiori e un lunghissimo tavolo addossato alla parete interna adibito a buffet. Divani erano situati tutt’intorno rivolti verso il mare. Il party era organizzato dal mio giornale che, come tutti gli anni, intendeva premiare i suoi migliori dipendenti. Io ero tra gli invitati, ma non fra i premiati. Non ero mai stato uno che amava primeggiare. Mi aggiravo per la terrazza con l’immancabile martini. Unica mia debolezza. Il buffet era ricco, ma non gradivo molto. Io ero più ruspante, preferivo: pasta, carne e, pesce in particolar modo. Con un leggero ritardo il direttore si avvicinò al microfono e salutò i presenti. Le sue parole si persero nell’aria profumata di mare. Il castel dell’Ovo illuminato spiccava come un faro nel buio. Me ne stavo da solo, a bere il mio ennesimo martini. Odiavo fare da tappezzeria a quei quattro lecchini dei miei colleghi che sprizzavano adrenalina da ogni poro. All’improvviso, guardando verso le persone accalcate vicino al palco, con la coda dell’occhio vidi una donna con la schiena nuda. Ora, le spalle di una donna per quanto belle e interessanti non suscitavano certo interesse. Non era più tanto giovane, aveva i suoi anni, ma quello che mi colpì non fu certo la sua schiena o la sua età, ma uno strano disegno che aveva sulla scapola sinistra. Un tatuaggio formato da due cerchi uniti, sui quali era posata una colomba. Conoscevo quel disegno e se non mi sbagliavo anche la donna che lo esibiva con tanta naturalezza. Dubitavo potessi sbagliarmi, non potevo pensare che un altro avesse avuto la stessa mia idea. Quel disegno lo avevo scelto io, molti anni prima, e quando lei si era fatta fare il tatuaggio io c’ero. Lentamente, mi avvicinai, volevo, però, prima assicurarmi che non fosse in compagnia, avrei fatto una magra figura e magari procurale una situazione imbarazzante.

Restai al suo fianco, ma distanziato da un paio di persone e leggermente più arretrato, potevo vederla di profilo, ma difficilmente lei poteva vedere me. Finalmente il discorso del capo finì e, udii più di un sospiro si sollievo. La massa si precipitò al buffet. Lei invece se la prese comoda. Senza fretta andò a sedersi ad un divano decentrato, rivolto dove sapeva esserci Capri.

Io ero rimasto in piedi con il mio martini ormai caldo. Andai al bar a prenderne un altro e mi feci dare anche un Negroni, sapevo che era il suo preferito. Mi avviai e senza dire nulla mi sedetti al suo fianco. Quando si volse verso di me per rimproverare la mia sfacciataggine non feci altro che offrirgli il Negroni. Lei, rimase fra l’incredulità e la sorpresa, ci mise un attimo prima di riconoscermi. Poi sorridendo e senza parlare accettò il bicchiere e fece un gesto di brindisi verso di me. Alzammo i bicchieri e sorseggiammo.

- Ciao, mi disse con una voce calda e leggermente tremante – ti sei ricordato il mio Negroni, grazie! Ti trovo bene!

- Le gioie della vita, - risposi - sono talmente poche che non si possono dimenticare. Che ci fai in questa bolgia, non sapevo che eri nel ramo anche tu. A me mi tocca, ma tu!

- Sono anche io invischiata in questa pantomima, sono la corrispondente per l’estero, ramo politico. Sono stata chiamata a far parte della squadra da pochi mesi. Tu invece che fai?

- Io mi occupo di cronaca locale. Mi mandano sempre nei posti più infami e desolati che esistono in Italia, paesi sperduti fra le campagne, in montagna, nelle isole, dovunque ci sia qualcosa che loro ritengono interessante per i lettori.

- Ti ricordi i nostri sogni giovanili, quando studiavamo all’Università, facevamo tanti di quei sogni! Qualcuno si è avverato, altri purtroppo no, che vuoi farci.

- Io mi ricordo tutto, di quello che abbiamo fatto, che abbiamo visto. I momenti di gioia, di spensieratezza e anche di sconforto che abbiamo vissuto nel breve tempo della nostra gioventù. Poi le nostre strade si sono divise e da allora è rimasto solo il ricordo, anzi il rimpianto di qualcosa che avrei voluto fare allora e, non ho avuto mai il coraggio di fare.

Lei mi guardò con uno sguardo incuriosito, mi fissò a lungo e lesse nei miei occhi una risposta che evidentemente conosceva già, ma che volle sentire dalla mia voce.

- Perché non lo hai fatto, allora! Ho atteso a lungo quel tuo gesto, anche io volevo farlo, ma dovevi essere tu a fare il primo passo.

- Eravamo amici, ma tu eri lontana per me, irraggiungibile, eri il sogno che mi accompagnava e non volevo rompere quell’incantesimo.

- Stupido, dopo tutto quello che abbiamo condiviso e sofferto insieme ti sei fatto prendere da scrupoli assurdi. Cose credi che io non abbia rimpianto la tua decisione, sono andata via proprio per quello. Il mio cammino è stato arduo, come donna farsi apprezzare, in questo campo, è molto difficile, dovresti saperlo. Oggi posso dire che sono realizzata, ma non sono felice.

- Sei single o …hai un compagno?

- Cosa posso rispondere alla tua domanda, cosa ti aspetti che dica? Speri di riprendere i discorso interrotto. Con quel tatuaggio che ho sulla spalla cosa pensi, la colomba non è mai volata via è lì che aspetta e i due cerchi sono sempre uniti.

Non le lasciai il tempo di continuare, buttai il mio martini in una delle piante che ornavano il giardino pensile e, mi avvicinai a lei. La presi per le spalle e la fissai negli occhi. Le nostre bocche si avvicinarono e, in quel momento, dagli spalti del Castel dell’Ovo s’innalzarono nel cielo i primi fuochi artificiali. La festa era finita, ma la vita stava per ricominciare.

 

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