Era un bocciolo tra mille altri fiori, timido e discreto, ma la sua aura emanava mistero e curiosità.
Quando sbocciò, il profumo inebriante pervase l'aria, 
penetrando senza preavviso nell'anima.
Il suo color rosso rubino, catturava lo sguardo: impossibile non restarne ammaliati. Quel rosso attraeva e donava calore, ma senza alcun vanto.
I petali carnosi e vellutati, accarezzavano con gentilezza rosee guance sensibili, donando a chi si fermava, un po’ di quiete dal quel tempo tiranno.
Era una rosa splendida, nutrita di preziosa rugiada e da tanto, tanto amore.
Era forse quello il segreto di cotanta meraviglia?
Incantava chiunque!
Un giorno però, inavvertitamente, una spina graffiò il cuore di chi tanto l'aveva amata. 
Caddero a terra alcune gocce di sangue miste a lacrime amare. 
Le radici, assetate d'emozioni, ne assorbirono tutto il dolore e tutta la tristezza, tanto che, la rosa mutò.
Il colore dei petali si fece così scuro da confondersi con il nero più cupo e le sue spine si trasformarono in un groviglio di rovi.
Ora era impossibile da raggiungere, così  impenetrabile da diventare la Rosa Gotica.
Non la si poteva più ammirare se non nelle notti più cupe, quando una stilla di rugiada la illuminava,
facendola emergere silenziosa nel cielo. 
E in una di quelle notti, il poeta sussurrò: “Non c'è amore senza dolore, e nessun dolore che l'amore non possa curare.
Finché non ci sarà nuova linfa, finché non ci sarà nuova luce, la nostra rosa resterà inaccessibile."

 

Ora rileggilo ascoltando questa canzone: "On the Nature of Daylight” di Max Richter

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