Prima di partire chiesi ad Angelo di avviare le pratiche per poterci sposare. Dopo quasi un mese ci trovammo davanti al sindaco, mano nella mano, con il cuore pieno di emozione. Le nostre nozze furono semplici ma intense: uno sguardo, un “sì”, e la sensazione profonda di essere finalmente una famiglia.

Una settimana dopo partii per l’Australia. Appena arrivata incontrai l’équipe medica che avrebbe seguito il mio caso. Spiegai le mie motivazioni, i miei sogni e le mie speranze. Fui ricoverata per una serie di esami e monitoraggi: bisognava trovare la perfetta compatibilità con una donatrice. Dopo tre lunghi mesi, mi comunicarono che era stata individuata la persona giusta: una canadese che, nel suo percorso, aveva scelto di rinunciare ai suoi organi femminili.

Arrivò il giorno dell’intervento. Ogni giorno avevo sentito Angelo e Marianna: lui spaventato, lei piena di fiducia. Dopo quattordici ore in sala operatoria mi risvegliai in rianimazione. Rimasi sotto osservazione per due settimane, poi finalmente in reparto, dove cominciai a riprendermi lentamente. Tutti i controlli successivi confermarono che il mio corpo reagiva bene.

Proprio quando stavo per rientrare in Italia, un giorno mi accorsi di un’improvvisa perdita di sangue. Spaventata, corsi in ospedale. Il primario arrivò con un sorriso e un mazzo di fiori: quelle perdite erano il mio primo ciclo mestruale. L’intervento era riuscito perfettamente. Mi spiegò che non si era trattato solo di un trapianto d’utero, ma dell’intero apparato riproduttivo, con ovaie e tube di Falloppio. «Signora,» mi disse, «il suo corpo funziona come quello di qualsiasi altra donna. Ha tutte le possibilità di diventare madre.»

Scoppiai in un pianto di gioia che non riuscivo a contenere. La notizia fece il giro del mondo. Dopo pochi giorni rientrai in Italia, accolta da Angelo, Marianna e dalla piccola Beatrice, ormai una bimba meravigliosa di quasi tre anni.

Passarono alcuni mesi di riposo, e quando il mio ciclo cominciò a essere regolare, chiesi ad Angelo se volesse provare a diventare padre nel modo più naturale possibile. Dopo un po’ di tempo, il ciclo saltò. Il test di gravidanza fu positivo. Piangemmo tutti: io, Angelo e Marianna. La piccola Beatrice, confusa, ci chiese perché piangessimo. Le dissi che presto avrebbe avuto un fratellino o una sorellina. Lei esplose di gioia.

I mesi successivi furono un dono continuo. Sentire il mio corpo cambiare, l’addome che cresceva, la vita che si muoveva dentro di me, fu una sensazione indescrivibile. Ogni giorno Angelo si prendeva cura di me, Marianna mi coccolava con i suoi piatti migliori, e Beatrice mi accarezzava il pancione parlandoci sopra, come se potesse già comunicare con chi stava per arrivare.

Dopo nove mesi, con un parto cesareo, nacque un bellissimo bambino di oltre quattro chili. Quando lo posero accanto a me, provai una felicità che nessuna parola può spiegare. Beatrice guardava il fratellino con curiosità, Marianna lo cullava con tenerezza, e io sentivo di aver raggiunto il sogno più grande: essere madre.

Con il tempo imparai a conoscere ogni suo respiro, ogni sorriso. Le giornate erano scandite dai suoi bisogni e dal nostro amore. Mi sentivo pienamente donna, pienamente viva.

Dopo alcuni mesi, quando la vita familiare tornò serena, io e Angelo decidemmo di aprirci di nuovo alla possibilità di dare un fratellino o una sorellina al nostro piccolo. E, come un dono inatteso, dopo qualche tempo scoprii di essere di nuovo incinta. Questa volta furono due: dei meravigliosi gemellini.

La nostra famiglia era completa, unita, felice. Ogni giorno mi sveglio e ringrazio la vita per tutto ciò che mi ha donato: un marito amorevole, quattro splendidi figli e la certezza di aver vissuto un miracolo.

La storia continua, ma il resto appartiene solo a noi, al calore silenzioso della nostra casa e all’amore che ci tiene uniti.

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