«Posso usare il gabinetto?».
Il barista porse all’uomo un paio di chiavi di vecchio tipo, con una lama sola su un’asta cilindrica e un anello in fondo.
«Passi nel disimpegno, salga le scale e arrivi al pianerottolo del primo piano, poi attraversi il corridoio e apra la porta a sinistra, quella col vetro smerigliato» spiegò.
«Non posso usare il bagno nel cortile?» chiese l’uomo. Accennò a tre vecchietti che stavano giocando a carte su un tavolo avvolto nella penombra. Sfumacchiavano allegramente e segnavano i punti su una lavagnetta. «Uno di loro c’è andato, prima».
Il barista esitò, poi scosse la testa. «No, non può – disse – non a quest’ora. Per via del fantasma».
L’uomo annuì sorridendo «The Dancing Ghost, giusto?».
Il barista fece spallucce «Ah, l’insegna. Quella è stata un’idea di mio figlio, di ritorno da un viaggio in Inghilterra… sa, le insegne dei pub e tutto il resto. Pensava che potesse attirare clienti, ma questo non è un pub. Solo un bar. Si chiamava "Il bicchiere della staffa", una volta, ma era la vecchia gestione».
«Lo sa perché si dice il bicchiere della staffa?» domandò uno dei tre giocatori. Indossava un paio di occhiali con la montatura in celluloide nera che facevano sembrare tutt’occhi il viso scarno.
«È inutile che gli risponda di sì – interloquì il barista – tanto glielo dice lo stesso».
«Perché era il nome che si dava all’ultimo bicchiere che si beveva prima di partire. Lo si beveva a cavallo, con un piede già nella staffa della sella… e, quando si chiamava così, questa baracca andava meglio… ma forse perché la gestivo io» concluse l’altro.
«Era un nome idiota, comunque – riprese il barista – una volta si usavano i cavalli per salire e scendere dalla montagna, ma è passato un sacco di tempo. L’ultimo l’ho visto nel ‘65».
«Il fantasma invece c’è ancora, naturalmente».
Il barista smise di passare il panno sul bancone, tanto quella che stava strofinando non era una macchia, ma una venatura del legno. «Non è una cosa naturale» rispose.
L’uomo bevve una lunga sorsata. «E lei lo ha visto» affermò.
Il barista scosse la testa. «Naah. È un fantasma, quello. Si fa vedere da chi vuole e quando vuole. Mica come me che devo sorbirmi sempre i soliti pirla» concluse accennando al terzetto di giocatori.
L’uomo svuotò il bicchiere. «Scommetto che avrà pagato una sciocchezza, per tutta la baracca – disse accennando al locale – mi dicono che i fantasmi fanno deprezzare gli immobili».
«Macché – rispose il barista – gli sto ancora pagando le cambiali, a quel figlio di buona donna. Comunque, con ‘sta faccenda del fantasma, sono già venute due troupe televisive. Ovviamente mi sono fatto pagare; lo considero una specie di affitto».
L’uomo chiese ancora da bere. «Scommetto che non hanno visto niente» disse.
«Certo che non hanno visto niente, ragazzo – intervenne il terzo vecchietto, che non aveva ancora parlato – per vederli bisogna essere persone speciali. Sei speciale, tu?»
«Non lo so. È una bella cosa essere speciali?» domandò l’uomo al barista.
L’altro guardò una foto incastrata nello specchio, tra le bottiglie, che lo ritraeva abbracciato a una donna minuta e secca come un ago di pino. Accanto stavano un ragazzo – senz’altro l’ideatore dell’insegna – e una bambina dagli inconfondibili tratti down. «A volte, forse» rispose.
L’uomo bevve. «Che cosa fa il fantasma? – chiese – a parte ballare, intendo».
Il barista spinse le labbra in fuori. «Cerca di terminare quello che ha lasciato incompiuto, a volte prende qualcuno e lo porta via con sé, tanto per ricordarsi com’era essere vivi. Le solite cose, insomma».
«I fantasmi sono come i pensieri, giovanotto – disse il vecchio che aveva parlato per ultimo – solo che invece di starsene dentro le teste se ne stanno fuori».
«E questo se ne sta nel retrobottega» disse l’uomo.
Il barista non rispose. Si udiva solo lo schiocco plastico delle carte da gioco appoggiate sul tavolo.
«Così io devo usare il gabinetto di sopra» concluse l’uomo.
«Mettiamola così, giovanotto – rimbeccò quello che era andato al bagno – frequento questo locale da trent’anni e non sono mai andato nel cortile dopo il tramonto».
L’uomo guardò le chiavi con aria di sfida, estrasse il portafogli, pagò e si diresse verso il retro.

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