Le fiamme azzurro cobalto si sprigionavano dagli ugelli sotto l’astronave. Max teneva la cloche con entrambe le mani, la schiena contro lo schienale imbottito anti G, le vibrazioni erano così intense che i muscoli dolevano.

«Avanti, non mi deludere. Abbiamo fatto tanta strada, non mi mollare ora che siamo arrivati». Le lamiere stridevano come se la mano di un gigante le stritolasse, gli strumenti erano fuori scala.  

l'Asper era una vecchia nave, ma era stata revisionata prima della partenza. I quattro razzi al plasma attaccati al corpo centrale erano abbastanza recenti, sostituiti per quella specifica missione: portare un carico di cereali geneticamente modificati su HU882, un pianeta gigante ai margini della galassia.

 Max socchiuse gli occhi e fissò il grafico della potenza dei motori.

«Ho speso tutto quello che avevo, non tradirmi Asper. Se riusciamo a portare il carico a destinazione potremmo riposare per tanti cicli».

Il pianeta rosso mattone si face sempre più vicino. La gravità era quasi due volte quella terrestre, le navi dovevano essere potenti e con lo scafo rinforzato per volare. La densità dell’atmosfera era superiore del 25% rospetto alla terra.

L'ombra triangolare della Asper si stagliò contro una montagna coperta di neve, la pinna ventrale sfiorò la punta della montagna. Gli strumenti indicavano un'altezza di oltre 10.000 metri sul livello del mare.

Una corrente ascensionale afferrò la nave e la portò in alto, sballottandola come un fuscello in balia di un torrente.

Max chiuse la mascella con forza, i denti premevano tra loro, i muscoli induriti irradiavano dolore. Il corpo tremava e la vista si appannò. «Merda… merda».

 Il suono bitonale di una sirena risuonò nella cabina di pilotaggio dando man forte alla luce rossa dell’allarme. L'Asper s'impennò e poi virò a babordo, uscendo dalla corrente. Per un attimo eterno rimase bloccata, come se il tempo si fosse fermato. Poi la sua ombra s'ingrandì rapidamente sul fianco della montagna. Max afferrò una leva al suo fianco e la tirò. Un'iniezione di carburante ad alta pressione andò nelle turbine, causando un'eruzione di potenza.

Il muso dell'Asper tremò e s'impennò. Con la lentezza di un bradipo che mangia riprese quota e sorvolò la catena montuosa.

Max gridò. «Dai piccolina, ancora uno sforzo».

Una voce metallica gracchiò. «La fai facile tu. Sono io che sto rischiando lo smembramento»

«Finalmente ti sei fatto sentire Wall, in quale circuito ti eri nascosto?»

«Dovresti avere più rispetto per il tuo computer di astro navigazione, sto analizzando il modo di salvare la tua pelle e le mie lamiere».

«Si, però sto guidando io, e senza la tua assistenza», le braccia vibrarono e le mani si strinsero con maggior forza sulla cloche.

«Ti vantavi di essere il miglior pilota dello spazio capitano, ora hai l'occasione di dimostralo».

«Fottiti Wall. Spegni sta cazzo di sirena.» Nella cabina rimasero solo le vibrazioni e i gemiti delle lamiere. «Mettiti all'opera, calcola la potenza necessaria per arrivare al campo base senza schiantarci».

«È quello che sto facendo Max».

«Fallo meglio!» La nave traballò e poi un boato lo assordò.

«Cazzo, è saltato un motore. Wall, compensa».

L'Asper cominciò a girare su sé stessa e a precipitare come una freccia impazzita.

«Non abbiamo abbastanza potenza, Max. Ci schianteremo al 99%».

«Un corno». La luce rossa aumentò d'intensità. L'uomo si concentrò sulla telecamera a lungo raggio.

«Wall, trova una corrente ascensionale che ci spinga a babordo. In questa zona ce ne sono molte. Almeno così dicono le carte che ci hanno fornito»

La vibrazione aumentò, le guance dell'uomo tremolarono come un budino su una lavatrice in centrifuga.

Il computer fece apparire delle cifre sul monitor. «Gira di 10 gradi a babordo».

Max puntò i piedi e spostò il corpo sulla leva di comando. L'Asper si mosse con la grazia di una foca in agonia, poi entrò nella corrente ascensionale. Il volo si stabilizzò e Max ne approfittò per puntare verso un lago che si stendeva alle pendici del monte. 

«Vedo l'insediamento Wall», sullo schermo apparve un puntino color acciaio, lo zoom evidenziò un traliccio metallico con delle antenne. Ai piedi una serie di costruzioni prefabbricate in plastica e metallo. «Per Dio, ce l'abbiamo fatta».

«Non siamo ancora atterrati, Max. Aspetta a ringraziare l'onnipotente».

«Sei un dannato menagramo. Non atterreremo ma ci poggeremo graziosamente sul lago».

L’Asper con uno stridio d’aquila ferita aprì ulteriormente le sue ali e fece uscire il carrello a forma di gondola. Sfiorò il pelo dell'acqua e poi, con un tonfo la colpì, rimbalzando come un sasso piatto lanciato nel fiume.

Con un ultimo tuffo, l'astronave si fermò. I motori si spensero con un sbuffo di fumo.

Max sospirò e chiuse gli occhi. Si lasciò andare contro lo schienale imbottito. «Siamo arrivati. E siamo interi», ridacchiò. «Wall contatta New Orizont e digli che la pappa è arrivata».

Max incrociò le mani dietro la testa e si accese un sigaro elettronico. Il carico era salvo, la nave un po’ meno. Con il compenso sarebbe riuscito a ripararla e a tornare sulla terra con la stiva piena di minerale grezzo. La sua nuova vita era appena cominciata.

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