VI

 

Marta sgranò gli occhi, e il suo volto si fece pallido. “Ci siamo incontrate una volta, per caso. E poi non ci siamo più viste.”

Ma Giuliano continuava a fissarla, come se volesse scrutare la verità nei suoi occhi. Giorgio osservava ogni movimento, registrando mentalmente ogni esitazione, ogni parola non detta, consapevole che il quadro si stava facendo sempre più torbido.

Giuliano puntò lo sguardo su Luciana, l’ologramma rifletteva una tensione quasi palpabile. “Luciana, negli ultimi tempi eri diventata così fredda con me. Mi hai abbandonato, voltandomi le spalle senza spiegazioni… perché?” chiese, la voce incrinata da una ferita non ancora rimarginata.

Luciana serrò le labbra, trattenendo a stento la rabbia che le tremava nel petto. Poi esplose, le parole pungenti come spine. “Ti senti tradito, vero? Pensi che io ti abbia abbandonato così, senza motivo? Ti ricordi almeno la lite furiosa che avemmo due anni fa?”

“Certo che me la ricordo…” rispose Giuliano, con un’ombra di sorpresa.

“E allora,” continuò Luciana, senza distogliere lo sguardo, “ti ricorderai anche di come, in uno dei tuoi soliti scatti d’ira, mi spingesti giù dalle scale.”

Giuliano trattenne il respiro, perplesso. “Sì, sì, lo ricordo, ma… non ti provocò danni gravi, in fondo.”

“Non gravi?” Luciana scoppiò in una risata amara. “Furono drammatici, Giuliano. Ero incinta e quella caduta provocò un aborto. Non te lo perdonerò mai!”

Giuliano sembrava sconcertato, incapace di replicare. “Io… non sapevo niente. Non mi avevi detto nulla.”

“È vero, non ti dissi nulla perché… perché non ero sicura di voler continuare a vivere con te,” replicò Luciana, la voce spezzata. "Ti amavo, ma non potevo più ignorare quel lato oscuro che sembrava sempre in agguato in te.”

Il silenzio che seguì era pesante come una condanna, mentre gli sguardi di tutti si abbassavano, colpiti dalla rivelazione.

Giuliano restò immobile, fissando Luciana con uno sguardo carico di dolore e incomprensione. Dopo un lungo silenzio, chiamò Giorgio e gli fece cenno di fare uscire Carlo Denadai e Giovanni Spadafora, senza aggiungere una parola.

Quando furono usciti, Giuliano tornò a fissare Luciana, lo sguardo impassibile, come se cercasse ancora una spiegazione che potesse dargli pace. “È per questo, allora… è per questo che mi hai ucciso?”

Luciana abbassò gli occhi, poi rispose con un filo di voce, quasi un sussurro: “Sì, Giuliano. È per questo. Ma non era premeditato… ci trovavamo a casa, e tu… come sempre, avevi perso il controllo. Mi hai aggredita, e io ho afferrato la prima cosa che mi è capitata sotto mano, un martello. Ti ho colpito alla testa. Quando sei caduto, sanguinante ma ancora vivo… ho capito cosa dovevo fare.”

Giuliano non distolse lo sguardo, mentre Luciana, con le lacrime agli occhi, proseguì: “Dovevo vendicare nostro figlio, Giuliano. Il figlio che avevamo perso. E così ti ho dato un ultimo colpo… quello mortale.”

Nella stanza, l’ologramma di Giuliano sembrava sospeso tra incredulità e accettazione, mentre Luciana si copriva il volto con le mani, cercando invano di soffocare il dolore che era ormai riemerso in tutta la sua devastante intensità.

Giuliano, ancora scosso dalle parole di Luciana, distolse lentamente lo sguardo e lo posò su Marta, la quale lo osservava con una certa apprensione, quasi in attesa della sua prossima mossa.

"E tu, Marta?" le chiese con voce grave. "L'hai aiutata… perché?"

Marta sospirò e abbassò lo sguardo, poi rispose con voce flebile ma decisa: "Perché conoscevo Luciana abbastanza da immaginare in che inferno vivesse. Tu eri il suo incubo, Giuliano, e quando quella sera mi chiamò, sconvolta, dicendomi che ti aveva ucciso e che aveva bisogno di aiuto per far scomparire il tuo corpo… non ho potuto dirle di no."

L’ologramma di Giuliano la guardava in silenzio, un misto di incredulità e rassegnazione nei suoi occhi. Il peso di quella verità, ormai emersa, sembrava gravare su tutti i presenti come una cappa soffocante.

 

 

VII

 

Il mistero era svelato; ogni frammento aveva trovato il proprio posto. Eppure, in Giuliano, la rivelazione del suo omicidio non suscitò la furia o la sete di vendetta che avrebbe immaginato. Al contrario, nel silenzio che seguì, emerse un profondo senso di colpa per l’aborto di Luciana, per la perdita del loro figlio, e una comprensione dolorosa per ciò che Luciana e Marta avevano dovuto affrontare.

Era come se quel ritorno dalla morte, reso possibile dall’intelligenza artificiale, fosse un filtro capace di vagliare la sua anima, facendola risorgere priva di quell’oscurità che l’aveva tormentato in vita. L’orgoglio e l’ira si erano dissolti, lasciando spazio a un’inaspettata serenità, una consapevolezza che, per la prima volta, gli faceva davvero comprendere l’amore e, persino, il perdono.

Fu allora che Giuliano si rivolse a Giorgio con tono risoluto, quasi ultimativo.

“Giorgio, non voglio che Luciana e Marta subiscano conseguenze per quanto hanno fatto.”

Giorgio sgranò gli occhi, incredulo. “Ma… Luciana ha appena confessato il suo crimine, e Marta di essere sua complice. Non posso ignorarlo; devono rispondere di questo.”

“No, non se io non lo voglio,” disse Giuliano, la voce ferma. “Ti chiedo, amico mio, di dimenticare tutto ciò che hai sentito qui. Nel tuo rapporto scriverai che non siamo giunti ad alcuna conclusione, che il Progetto Lazarus è stato un fallimento e che hai deciso di cancellare tutto ciò che ad esso era collegato.”

Giorgio rimase in silenzio, digerendo l’enormità di quelle parole. “Ma, Giuliano, questo significherebbe la tua seconda morte…”

“Ne sono consapevole. Concludere quest’esperienza di vita artificiale è per me una liberazione. Questa vita immateriale è un simulacro, una tortura che non voglio più sopportare. Promettimi, amico mio, che farai ciò che ti ho chiesto.”

Giorgio abbassò lo sguardo, lottando tra dovere e lealtà. Poi, guardandolo negli occhi, disse: “Lo farò, amico mio. Lo farò per te.”

Giuliano si voltò un'ultima volta verso Luciana e Marta; con un cenno della mano, semplice ma colmo di dolcezza, le salutò in silenzio. Un sorriso quasi pacificato gli attraversò il volto, come a voler lasciare loro un ricordo di sé finalmente libero da rancori e ombre. Poi, rivolgendosi all'amico, disse con voce ferma:

“Ora, Giorgio.”

Giorgio inspirò a fondo, esitante solo per un istante, poi premette il pulsante “Erase”.

Un leggero ronzio attraversò l’aria, e l’immagine di Giuliano svanì lentamente, dissolvendosi in un’eterea quiete, come un’ombra che si perde nella luce.

Nella stanza, rimase solo un silenzio profondo, un eco di rivelazioni e di perdono che continuava a vibrare nell’aria, mentre il peso di quella verità si depositava nei cuori di coloro che erano rimasti. Luciana e Marta, avvolte nella loro confusione, si scambiarono uno sguardo d’intesa, consapevoli che, nonostante il dolore, avevano trovato un barlume di redenzione.

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