Oltre il grande mare, dall’altra parte del mondo, in quelle terre che chiamano Americhe, viveva una bambina dagli splendidi occhi azzurri come il cielo d’estate. La famiglia di questa ragazzina possedeva una grande casa in mattoni rossi lungo la strada più affollata del quartiere. I genitori, erano sempre impegnati con il lavoro, non avevano mai tempo da dedicare alla ragazza che, in pratica viveva da sola con la tata, di questa lontananza lei soffriva molto. A niente servivano le più belle bambole o i più costosi giocattoli che riceveva in regalo, lei era sempre triste perché era sempre da sola e senza amici. I genitori non volevano estranei in casa. Un giorno, però, accadde un fatto nuovo che cambiò la monotonia dei suoi giorni tutti uguali.
Nella casa di fronte alla sua si era fermato un enorme camion, uno di quelli usati per effettuare i traslochi, infatti, poco dopo, gli operai cominciarono a scaricare mobili e suppellettili. Quella casa rimasta vuota per tanto tempo finalmente aveva trovato dei compratori.
Tiffany, questo era il nome della bambina, rimase tutto il tempo a guardare il via, vai degli operai che scaricavano le cose. Vide scaricare un pianoforte, molte biciclette e perfino una sella da cavaliere. Si divertì ad indovinare chi erano questi nuovi vicini e quanti bambini facevano parte della famiglia. Dalle biciclette che aveva visto scaricare, pensò che dovevano essere almeno tre. Chissà si chiese, se fra loro ci fosse anche una bambina con la quale fare amicizia e giocare insieme. Il camion, finito di scaricare se n'andò e Tiffany, dalla finestra della sua cameretta, vide nel giardino di fronte, una bambina che si guardava attorno. Era una ragazza molto particolare, alta e ossuta. Aveva le gambe e le braccia molto lunghe ed esili. I capelli, erano color carota e, quando la vide in viso si accorse che la faccia era piena di lentiggini. Sembrava spaesata, si girava intorno nel giardino davanti alla casa, il suo sguardo era smarrito. Gli capitò di alzare gli occhi in alto e Tiffany n'approfittò per salutarla con la mano. La ragazza, che somigliava ad una giraffa, fu sorpresa, ma ricambiò il saluto accennando un timido sorriso, incoraggiata, Tiffany allora decise di scendere giù per salutarla da vicino e dare così il benvenuto alla nuova amica. Dalla staccionata del suo giardino, senza uscire fuori, Tiffany fece segno alla ragazza di avvicinarsi. L’altra si fermò vicino alla staccionata, si guardarono e si strinsero la mano.
- Ciao, benvenuta nel nostro quartiere, io mi chiamo Tiffany e abito qui, da oggi anche tu abiterai qui, mi fa piacere! Da dove venite!
- Ciao Tiffany, io mi chiamo Janet, sì, i miei hanno comprato questa casa, mio padre dovrà lavorare qui per molto tempo, lui è un militare di carriera e ogni tanto lo spostano. Noi veniamo dall’Inghilterra; siamo inglesi. Ho un fratello più grande che purtroppo non gioca mai con me, mamma e papà non ci sono mai e io sono sempre sola.
- A chi lo dici, Janet, anche io sono sola, almeno tu hai un fratello io nemmeno quello, vivo con la tata.
- No, noi non abbiamo la tata, i miei dicono che sono grande abbastanza da poter stare da sola. Ora in America, sarò veramente sola, non conosco nessuno e sarà difficile fare amicizia. Voi abitate in case singole e separate, a Londra abitavo in un palazzo e c’erano molti bambini con cui giocare.
- Non ti preoccupare, vedrai che faremo amicizia e staremo sempre insieme. Siamo ragazze in gamba e sappiamo cavarcela.
Così dicendo si sporse dalla staccionata e l’abbracciò con slancio.
- Grazie Tiffany, sento che andremo d’accordo, ma ora devo rientrare, dobbiamo sistemare la casa, appena possibile ci incontreremo, ciao!
Janet tornò in casa più sollevata. Aveva trovato un’amica e anche vicino casa, voleva dire molto per lei, era contenta.
La sera quando Tiffany andò a dormire, non riusciva a prendere sonno era eccitata per aver trovato finalmente un’amica, doveva avere più o meno la sua stessa età. Sperava che i suoi genitori non avrebbero trovato da ridire, era una buona famiglia e la ragazza anche se un po’ stramba, era socievole.
Stava così nel letto a fantasticare, quando senti un rumore sospetto, in genere in quella casa non aveva mai sentito rumori. Girò lo sguardo per vedere, ma non c’era niente. Poco dopo ancora quel rumore, fu lesta a girarsi e con la coda dell’occhio vide poco più di un' ombra.
- Chi è là, strillò, non aveva paura, ma se c’era un estraneo in casa voleva saperlo
- Fatti vedere, altrimenti chiamo la tata, e quella è terribile, ti prenderà a scopate in faccia. Esci subito, non ti faccio nulla, voglio solo sapere chi sei e che ci fai nella mia camera.
La stanza era in penombra. Era accesa solo la debole luce per la notte. Non si vedeva molto bene. Dalla zona d’ombra fra l’armadio e la porta fece capolino la testa di un bambino. Era ben pettinato. Indossava un abito scuro, giacca e pantaloncini al ginocchio, la camicia bianca con un farfallino. Era molto elegante, ma sembrava che il corpo non avesse consistenza, si vedeva attraverso, era come immerso in una nuvola di fumo grigio. Si muoveva lentamente come se volteggiasse nel vuoto, si mosse dall’ombra e si avvicinò al letto di Tiffany e rimase fermo ad osservarla senza parlare.
La ragazza, sul momento, restò sorpresa, ebbe un attimo di paura, poi tese una mano e si accorse che poteva attraversare il corpo del bambino senza sentire nulla. Un brivido, le percorse la schiena.
- Chi sei bambino, sei un sogno o un fantasma? Non sei reale, forse esisti solo nella mia fantasia, puoi parlare?
Il bambino si mosse lieve e dopo aver fissato bene la ragazza nel letto parlò, la sua voce era sottile,
- Voi non siete lady Janet, dove mi trovo di grazia.
- Sei nella mia camera da letto, bambino! sei un fantasma? in questo caso credo che hai sbagliato casa, Janet abita nella casa di fronte.
- Chiedo scusa signorina, sono appena arrivato al seguito della famiglia Spencer, ancora non capisco come fare. Qui avete tutte le case uguali, ci si confonde, io sono William IV duca di Leicister, ho dieci anni, lei è miss…
- Io sono Tiffany Armstrong e abito qui, ho 12 anni, allora tu dovresti essere morto?
- Certo, sono deceduto in seguito ad un incidente, sono rimasto soffocato durante la festa di compleanno di mia nonna, era il 1879, un nocciolo di albicocca si è incastrato in gola e …
- Mi dispiace poverino, ma ora che ci fai in giro, perché sei un fantasma?
- È il mio destino miss Tiffany, devo seguire la famiglia, fino a quando qualcuno di loro, non mi da il bacio della buonanotte, mia madre non ha fatto in tempo prima che morissi. Lady Janet, purtroppo ha paura di me, ogni volta che mi vede, urla e scappa via, il fratello è troppo grande e non crede alla mia esistenza e io sono costretto a vagare, dove vanno loro, vado io. Mi dica miss tiffany, come mai lei non ha paura?
- Non lo so, non credevo ai fantasmi, non n'avevo mai visti, ma ora che ti vedo, sento che non c’è d’aver paura, m’ispiri simpatia.
- Dimmi, piuttosto, non ti annoi, senza far niente da tutto questo tempo?
- Noi siamo fatti d'aria, non proviamo sentimenti o sensazioni, ma devo confessare che un po’ sì, mi scoccio e sono stanco. Vorrei tornare insieme ai miei genitori che mi aspettano, ma non vedo come posso fare.
- Ok, Willy, ti chiamerò così, il tuo nome è troppo difficile, se vuoi essere mio amico, per me va bene, io non ho paura, magari potremo divertirci, che ne dici, ti va l’idea?
- Vedremo, signorina, ora vi devo lasciare, voglio controllare dove hanno messo il mio rifugio dove dormire, mi devo ancora ambientare, ci vedremo ancora, se a lei non dispiace.
- Per niente, ora dovrei dormire anche io, domani si va a scuola, buonanotte Willy.
- Anche a lei miss Tiffany.

 

&&

 

Nei giorni che seguirono Tiffany e Willy consolidarono la loro amicizia, passavano insieme tutto il tempo libero di lei. Il bambino era curioso. Voleva apprendere tutto sugli usi e costumi americani, dal cibo al modo di vivere. La ragazza invece si faceva spiegare, la storia di quegli anni. La loro frequentazione portò il sorriso sulla bocca di Tiffany che adesso era più serena, sorrideva spesso e non aveva più quello sguardo triste. Nel giro di pochi giorni aveva trovato due amicizie. L’amicizia con Janet, proseguiva serena e divertente. Una vera amica con la quale studiava e si divertiva a fare passeggiate in bici e a prendere il tè con le bambole, con Willy, invece, il rapporto era più confidenziale, non potevano toccarsi, ma tutte le sere lui passava a trovarla e restavano molto tempo a chiacchierare. Era un bambino di soli dieci anni, ma nei secoli aveva appreso moltissime cose, seguendo le sorti della famiglia Spencer, attraverso i suoi discendenti.
Capitò un giorno che i genitori di Janet, dovevano assentarsi e Tiffany si offrì di far dormire l’amica a casa sua. La sera come il solito Willy venne per la sua visita serale, Janet, appena lo vide urlò dallo spavento. Il grido fu così forte che Tiffany ebbe timore che i genitori salissero in camera, chiese all’amica di restare a letto, mentre lei si allontanava insieme al suo amico fantasma. Uscirono sui tetti, e con l’aiuto del bambino lei riuscì a trovare la strada per scendere a terra, s’incamminarono verso la fine della strada, dove girando a sinistra si andava verso una zona d'aperta campagna. Era buio e per fortuna non passava nessuno. I due raggiunsero il bosco, era fuori il perimetro delle case e Willy scoprì subito che lì abitavano delle fate piccolissime, solo lui le poteva vedere, e loro videro lui. Lo rassicurarono che avrebbero vegliato sulla sua amica umana. Il fantasmino, fece stendere Tiffany su un mucchio di foglie rassicurandola che non correva nessun pericolo. Dormì tranquilla per tutta la notte, non sentì freddo perché le fatine la coprirono con una rete sottilissima di fili d’argento che la protesse dal freddo della notte. La mattina presto all’alba, si svegliò. Girandosi di fianco, si trovò davanti il muso di un unicorno bianco. Era lì vicino a lei e sembrava volerla invitare a fare un giro con lui.
Il cavallo magico si fece montare dalla bambina e la portò in volo lungo tutto il bosco e anche oltre, quasi vicino al mare. Non poterono avvicinarsi di più per non farsi vedere dagli umani, lui era una creatura magica e non dovevano sapere della sua esistenza. Willy era rimasto con le fatine a raccontare la sua storia, ma le piccoline dispettose e allegre, cominciarono a fargli degli scherzi e, alla fine, si misero tutti a giocare divertendosi un mondo. Era giunta l'ora di colazione e l’unicorno terminò il suo giro. Atterrò sul prato dove aveva preso Tiffany e la pregò di non rivelare a nessuno quello che aveva visto. Qualche altra volta, se aveva voglia di fare un giro, bastava venire in quel posto prima dell’alba e aspettare. Lui sarebbe venuto. Contenta e felice Tiffany chiese a Willy di accompagnarla a casa, pensò che i suoi potessero essere in pensiero per lei. Entrati in casa trovarono Janet che faceva colazione da sola, i suoi erano usciti, ma non avevano chiesto d lei. La tata aveva preparato per due, lei aveva detto che Tiffany dormiva ancora, così stava facendo colazione da sola. Vide venire la compagna allegra e sorridente e le chiese:
- Ciao, - le disse - posso sapere dove sei stata, sei scappata che era ancora notte e ritorni solo adesso? Meno male che i tuoi non ti hanno cercato, non sapevo cosa dire se mi chiedevano notizie di te. La tata, credo che sia abituata a queste tue assenze, non ha detto niente, ha servito solo la colazione. Dai, adesso mangia anche tu, dopo andiamo a giocare.
- Va bene, mangiamo qualcosa, però dopo ti devo raccontare molte cose, una magnifica avventura.
Stava per rivelare quello che l’unicorno aveva chiesto di non dire, Willy restando invisibile la tirò per il vestito sussurrando sottovoce :
- tacete, miss Tiffany, non dovete dire niente, avete dimenticato la promessa?
- Accidenti, ero talmente eccitata che stavo facendo un guaio, grazie Willy.

Il tempo passò veloce, l’amicizia si era consolidata, si giunse al tempo del Natale.

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