Elia, il guardiano, adorava i profumi e i suoni del mare, in particolar modo i cavalloni selvaggi che si schiantavano sugli scogli sotto al faro nei giorni e nelle notti di burrasca. Chi l'avrebbe mai detto che da lui avrei ereditato tali sensazioni ed emozioni estatiche?
Sembra ieri. Il risveglio in una piccola stanza dalle pareti ammuffite, il letto duro come la banchina di un porto e i raggi del sole che filtravano dalla suggestiva finestra che dava sul Golfo di Genova.

Io che mi inoltravo, scalzo, in direzione della cucina, noncurante del pavimento mal ridotto e di alcune schegge di legno che andavano a conficcarsi nella pianta dei piedi.
Mi comparve davanti Elia, appoggiato a un sgangherato e rumoroso frigorifero, a fumarsi la pipa con espressione malinconica. Dopo una frugale colazione, andammo in spiaggia per ammirare le magnifiche onde che si infrangevano delicatamente sulle rocce che circondavano la struttura. Elia, le mani nodose, il viso solcato dalle rughe e la lunga barba bianca davano l'idea un uomo provato. Non mi degnava di uno sguardo. Sospettai che quella specie di eremitaggio gli avesse fatto dimenticare come guardare una persona negli occhi.
«È necessario che tu e i riflettori siate in simbiosi per far da guida ai naviganti» mi disse improvvisamente, indicando con l'indice la lanterna posta in alto. 
Successivamente mi spiegò le mansioni da svolgere, per poi effettuare una serie di esempi pratici. Imparai in fretta, grazie a una dote innata per la manualità risalente ai tempi dell'orfanotrofio. Qualora ci fossero stati problemi di natura tecnica, mi sarei avvalso di un manuale o, nei casi peggiori, avrei potuto utilizzare il telefono per chiedere assistenza a chi di dovere. Riguardo la paga e gli approvvigionamenti, in quel periodo venivano garantiti mensilmente dalla marina mercantile.
L'ormai ex guardiano mi consegnò le chiavi e ci salutammo senza che gli chiedessi dove fosse diretto. Dalla porta d'ingresso lo osservai percorrere lentamente una stradina sterrata, portando con sé una logora valigia. Restai da solo, i gabbiani in volo che garrivano sembravano darmi il loro benvenuto. Rientrai.
In cucina, nell'accendere il fornellino a gas, desideroso di una cioccolata calda, pronosticai che le stagioni invernali sarebbero state un problema a causa del il gelo. E difatti non mi sbagliai.
In quel primo giorno di lavoro feci il secondo "trekking" sulla torre, ove le scale in ferro risalivano a spirale lungo i muri, immaginando la fatica del povero Elia per tutte quelle volte che si era dovuto cimentare nelle "arrampicate."
Una volta raggiunta la cima, mi prodigai scrupolosamente per pulire i pannelli in vetro, lucidare l'obiettivo, sistemare gli stoppini e riempire d'olio una moltitudine di lampade, assieme ad altre incombenze che diventarono consueta routine giornaliere. 
***
Anni dopo, in un tetro pomeriggio di novembre prossimo alla tempesta, da una finestrella della struttura notai una figura femminile che s'incamminava a passo spedito verso il bordo della scogliera. Dapprima trovai strano che, con l’imminente scatenarsi della tormenta, quella donna avesse deciso di dirigersi proprio lì, finché realizzai quali fossero le sue reali intenzioni. Corsi e la raggiunsi per invitarla a ritornare indietro. Inizialmente rimase zitta, poi parlammo un po', la sua voce sofferta mi colpì profondamente. 
Improvvisamente sciolse il nastro che le legava la coda. I suoi lunghi, ondulati capelli castani caddero a cascata e furono rapidamente sferzati dal minaccioso vento carico di pioggia. Era bella, decisamente bella, i lineamenti delicati enfatizzavano il chiarore della sua carnagione, per non parlare del suo lungo vestito azzurro che fluttuava come quello di un angelo.
«Mi manca mio marito!» esclamò portandosi la mano alla bocca per soffocare un singulto. Infine si girò di spalle chiaramente intenzionata ad attuare l’insano gesto. Il suo amato probabilmente era un marinaio o un pescatore. E lei lo stava per raggiungere, il mare le avrebbe fatto da ponte per il cielo.
La vidi gettarsi. Non potei fare nulla.
***
Sono passati circa trent'anni, costellati da episodi belli e meno belli. Stamattina vengo a sapere che presto sarò sollevato dal mio incarico. In buona sostanza la tecnologia cartografica e altri strumenti di navigazione installati nei mezzi marittimi non giustificano più il mio operato come, naturalmente, l’utilizzo dell'emettitore di segnali luminosi della struttura.
Dovrei essere rabbuiato, deluso… invece no, da quanto ho appreso dalla raccomandata che mi è stata fatta pervenire dal postino, il faro avrà un nuovo contratto di locazione. Il Comune di Genova prevede di trasformarlo in un luogo di interesse turistico e di consentire al pubblico visite panoramiche, oltretutto mi è stato chiesto di rimanere in qualità di custode. Accolgo con entusiasmo la proposta, per di più sarò lieto di condividere le mie storie con i visitatori, tranne un drammatico e triste episodio. Io, Tancredi Diotallevi, ho ancora vivido il ricordo di quella apollinea donna che mi pesa sul cuore.

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