Le due guardie, a presidio della porta di Frontino, imposero l'arresto al cavaliere. Araneum si fermò, abbassò la testa ed emise un breve nitrito, seguito da uno sbuffo in segno di saluto. 

Il cavaliere, con il viso celato, estrasse un documento e lo mostrò. 

Le guardie acconsentirono l’ingresso. 

Il sole disegnava l’ombra a tre fornici della porta sulla lunga strada che percorreva Hierapolis da nord a sud.

La città pareva abbandonata. 

Il suono degli zoccoli riecheggiava tra i reticoli ortogonali delle strade laterali. Una voce attrasse la sua attenzione:
“Ehi, sei in ritardo per lo spettacolo! Che ci fai ancora in giro? Lasciami il cavallo! E vai al teatro!”
Era un vecchio dagli occhi resi opachi dalla cecità. 

Il cavaliere si fermò, scese di sella e porse le briglie nelle mani del vecchio che si presentò: “Mi chiamano Buonanotte perché la cecità non ha oscurato il mio buon umore! E tu chi sei?”
Il cavaliere non rispose. Pose due monete nel palmo del vecchio e si diresse verso il teatro.

Il colpo d’occhio era incredibile. 

Tutte le file di gradini della cavea erano occupate. 

Sullo spazio dell’orchestra, delimitato da un proscenio in marmo bianco, le statue di Apollo, Artemide, Persefone, Demetra e Dioniso parevano assistere al combattimento tra gladiatori tenendo, come il pubblico, il fiato sospeso. 

Lo spettacolo, non prevedeva la morte dei duellanti, tuttavia i colpi che si scambiavano erano reali così come il dolore ed il sangue. 

Quando i muscoli del più grosso caddero a terra quasi privi di ossa, il pubblico iniziò a vociare ed applaudire. Il vincitore mostrò il viso, sfilandosi l'elmo. Il marmo divenne muto. 

Era una donna. La pelle candida avvolgeva i muscoli che non l’avevano privata di fascino, così come le cicatrici. Una di queste le attraversava l’avambraccio destro come un’onda. 

Il travertino della cavea tremò. 

“Unda! Unda! Unda!” 

Il cavaliere si portò sul retro del teatro e la attese. Quando la vide uscire si scoprì abbassò il cappuccio. I capelli biondi, quasi bianchi, contrastavano con la carnagione scura. 

Ne attrasse l’attenzione con un gesto: “Mi chiamo Nix di Mileto. Ho cavalcato giorno e notte per essere qui ora. Un antico manoscritto, che nessuno ha mai letto,  è stato rubato dal tempio di Apollo a Dydima. Un eunuco devoto al più antico culto di Cybele Dyndimena lo ha sottratto. Io devo ritrovarlo. L’oracolo ha tracciato la mia direzione. Da Mileto ho seguito il corso del Meandro e poi il biancore dell’altipiano, visibile anche con la luna, ha segnato il mio cammino. 

Questo il responso dell’oracolo: “Dove la neve è calda come vello di cotone e l’Onda abbatte, troverai di Plutone il buco ove l’ha celato l’infido eunuco”. 

Nix proseguì: "Pamukkale è il castello di cotone. Le sue acque sgorgano calde sulla neve di travertino. Tu sei l'Onda che mi aiuterà. E qui a Hierapolis, come scritto da Strabone si trova un accesso agli inferi da cui, una volta entrati, ne possono uscire incolumi solo gli eunuchi Galli, sacerdoti della dea Cibele”. 

Unda esclamò: “Ti aiuterò! Prima si mangia. Domani lo metteremo in quel buco a Plutone!” 

Con una fragorosa risata, strinse sotto la spalla destra Nix e la trascinò di peso alla taverna. 

Il tas kapama era profumato e il Pramnios, era come descritto da Omero: “non forte, ma severo”. Erano sedute l'una di fronte all’altra. Si guardavano con attenzione e ammirazione.

“Sei bella, molto!” – disse Unda, pulendosi la bocca con il dorso della mano. 

“Anche tu. Mi piacciono i tuoi muscoli e le tue cicatrici".
“Anche questa?” – disse indicando la guancia destra. 

“Un morso di cane. Ero una bambina. Ad un combattimento tra animali, mio padre stava perdendo una fortuna scommettendo. Per rifarsi mi buttò nell’arena urlando che sua figlia avrebbe abbattuto la bestia. Il cane è morto. 

Incassata la vincita mi abbandonò. Fui tenuta come una bestia dal padrone del cane che uccisi e divenni una cagna da combattimento. Sino al giorno in cui uccisi il mio aguzzino.  Lo diedi in pasto alle sue belve, rubai il suo denaro e divenni gladiatrice, senza padrone”.
“Io sono una sacerdotessa vergine del culto di Artemide. Sono stata scelta per i miei studi e il mio coraggio. Il noce è il nostro simbolo sacro e se il manoscritto sarà riconsegnato, i nostri riti e misteri saranno preservati dalla distruzione del culto Dionisiaco. La vite non ucciderà il noce”.
Terminata si diressero verso le mura bianche che scendevano a cascate verso la pianura sottostante. Nel prato un rivo d’acqua calda scorreva tra i grilli. La luna accendeva luci.
“Come entriamo?” – chiese Unda.
“I vapori mortali del culo di Ade” – sorrisero entrambe – “rimangono più vicino al terreno. Verso l’alto sono meno concentrati. Tu sei più alta di me. Se riesci a trattenere il fiato a sufficienza…”.
Unda replicò: “Io entrerò. Ho un’idea. Una pelle di capra ripiena d’aria. 

Respirerò all’occorrenza. Si può fare. Ora andiamo a dormire”. 

Le mani si sfiorarono, un gesto non voluto. 

Si fermarono. 

Occhi negli occhi e si baciarono. 

Nix non aveva mai baciato prima. 

Avvertì un fremito dagli alluci ai capelli, i capezzoli si appuntirono e un calore liquido le pervase l’inguine. 

Era tenera la bocca di Unda, la lingua delicata. 

Come le bocche si separarono, Unda guardava a terra. Un atteggiamento non proprio da guerriera. 

A Nix girava la testa, come quando danzando piroettava veloce su se stessa. 

Si diressero alla locanda.
Il mattino successivo, Unda con una torcia in mano e la pelle di capra scomparve in quella fessura miasmatica con una corda che le cingeva la vita. 

Il tempo sembrava interminabile. 

Quando la corda rimase inerte, Nix la tirò. 

In risposta due strattoni. 

Stava ritornando. Come uscì boccheggiava come un pesce.

In mano stringeva l'astuccio di legno d’ulivo che conteneva il manoscritto. 
"È morto. Ha sbattuto la testa contro la roccia ed è svenuto. L’antro si apre, ha un’uscita, vedevo del chiarore. L’eunuco la conosceva, ma l’oscurità lo ha tradito”.
Il pomeriggio lo dedicarono a loro stesse. 

Su quel travertino bianco come il cotone e caldo ove l’acqua limpida scorreva allegra si ritrovarono nude a guardarsi. 

Vi erano conformazioni calcaree che parevano zanne di drago. Nix si stese tra esse, come vittima del mostro immaginario, in una posa volgare.

Il pelo del pube brillava. 

Unda la assalì come una belva, annusandola e penetrandola con la lingua. Nix rise. 

Poi Unda si guardò intorno. 

Quella stalagmite era perfetta. 

Vi si sedette sopra. 

Il calcare entrò. I capezzoli parevano borchie di bronzo. Nix rimase a guardarla, mentre il piacere la inondava. Era proprio bella.

Si lavarono a vicenda sotto una cascatella e si stesero al sole.
“Lo apriamo? Sono curiosa. Ho rischiato la vita per quel tubo!”
 “Apriamo!"

MILESIAKE
Le storie a carattere erotico, raccontavano vicende amorose, come vissute realmente dallo scrittore o dalla scrittrice.
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