Che siate uomini o donne poco importa. Perché infilarvi nelle mie scarpe non risolverà il problema.

Indossare guanti non vi renderà immuni, ci sarà sempre qualcosa che vi schiferà e che sarete costretti a toccare.

"Respira", mi dico quando accade.

A volte è utile, a volte no.

"Cosa vuoi farci, il mondo è viscido", dice mia zia Clementina. Poi però si lecca le dita sfogliando la rivista coi programmi tv. Potrebbe esserlo di meno, in effetti. Quelle persone che mangiano spruzzando briciole. Le fisso, sparse sul tavolo della mensa e sembrano camminarmi incontro, vive.

La sensazione terribile d'una patina d'unto sui palmi, come se maneggiare volesse dire incollarsi a tutte le cose, a tutte le persone...

"Il mondo tutti lo maneggiano", dichiara mia zia Clementina, che è la sola famiglia con la quale ho mai avuto a che fare. "Papà" e "mamma" per me sono parole che disegnano fantasmi.

Sarà per quello, credo, che ho difficoltà a farlo, toccare cose che altri toccano. La verità la so, non avrò mai nulla tra le dita che altre dita non abbiano già palpato prima. E' davvero triste.

"Respira", mi dico mentre realizzo questo.

Comunque v'informo che una soluzione potrei averla trovata. Recentemente ho fatto amicizia con Sarim. E' il mio nuovo vicino di casa è musulmano e ogni giorno viene da me a spiegarmi l'Islam. Non ho ancora capito molto per la verità, si siede qui accanto, col Corano tra le mani, e parla, senza toccarmi. Qualcuno che non vuole alcun contatto, come me. Già qualcosa.

"Respira", mi dico mentre lo ascolto, e siamo subito fuori da questo mondo, due adolescenti dello stesso sesso seduti ai lati di un divano, senza cellulare, che affrontano problematiche adulte. Quadretto non proprio consueto.

Sarim dice che quel che non va bene dev'essere cambiato. Io non vado bene, zia Clementina lo sa, anche se non capisce precisamente perché, ed io neppure.

Per cambiare potrei esplodere, ha detto. Non dovrei mai più essere obbligato a toccare nulla, fuso col mondo come non mai, divenuto buco nero, l'estremo passato remoto di una stella.

Potrei sedermi al tavolo della mensa un giorno qualsiasi di una settimana qualsiasi poi guardare bene tutto il brulicare di microbi attorno, sul tavolo e non, e... fhhhhh, soffiarli via... un bacio d'addio sulla mano, pulire con accuratezza questo spicchio di mondo.

Zia Clementina sarebbe stupita, almeno. Credo non s'aspetti nulla da me, né bene né male, ma stavolta sì, che rimarrebbe senza parole.

E tutti quelli che non mi hanno mai nemmeno guardato negli occhi, troppo occupati ad aggiornare i profili dei social con le foto dei cocktail del sabato sera, gli sguardi vacui ai quali manca solo l'asticella che indica il livello di alcool, quelli che sorridono appena quando gli passo vicino, cosa penserebbero? Ammesso che ne avessero il tempo, dico.

Il giorno dopo avermi visto brillare a distanza di sicurezza si chiederebbero: "Chi? Ah.. quell'orfano nerd senza amici. Ok."

"Respira", continuo a ripetermi, "quelli non cambieranno, non ce la farai, se diverrai una cometa sarà per te"

Chi crede che si abbia paura, prima, non conosce bene la paura. Crede sia quel brivido sulla pelle mentre la giostra ti capovolge, invece è un treno che ti percorre le viscere, strappo verticale, un tiro di sciacquone interiore e via, rapido il vuoto ti risucchia e ronzano verso il niente le mie molecole. Sarim dice che niente è un paradiso. Nella mia mente potrebbe avere senso, a fronte della soffocante morsa che stringe la mia gola ogni minuto del giorno.

Dire "respira" è diventato il mio mantra, tento ogni volta di ricompormi in quella parola ma è come stessi già deflagrando, solo in silenzio. E dopo aver silenziosamente già vissuto sedici anni così non voglio andarmene senza aver mai neppure sentito cosa si prova facendo rumore.

A zia Clementina ho anticipato che un giorno me ne andrò di casa.

"Sicuro, tutti lo fanno, ragazzo mio"

Quando, ancora non l'ho deciso, ma come sì.

Nel frattempo "respira" è l'unico lembo di preghiera che mormoro, per addormentarmi nel buio.

 

 

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