Estate. 
Ci piaceva giocare a tennis ma non avevamo soldi. Nella scuola in cui avevo fatto le elementari e le medie, gestita da preti, c’era un campo da tennis che si poteva prenotare. Chiesi a Otello.  “Come facciamo?” 
“Diamogli un nome falso. Poi quando finiamo ce ne andiamo. Tanto chi si occupa delle prenotazioni non gliene importa nulla.”
“Perché dobbiamo dare un nome falso?”
Otello mi guardò divertito 
“Così.”
Erano altri tempi, cercate di capirmi. Non c’erano tessere. Né abbonamenti. Né controlli capillari. 
Così iniziammo a giocare cercando di emulare Borg, McEnroe, Jimmy Connors. Giocavamo tutti i giorni. Con racchette pesantissime, t-shirt e jeans che ti facevano sudore più di Lucio Dalla. 
Andammo avanti per anni. 
Io telefonavo. Mi rispondeva il solito tipo con la voce dislalica. 
“Sono Mantegazza” dicevo. “Vorrei prenotare dalle 14 alle 16. “
Nessuno ci controllò mai. Noi, poveri ragazzini senza una lira, passammo le nostre estati più spensierate. 
Un giorno eravamo ai bordi del campo. Ci stavamo mangiando una granita, parlavamo di come Borg aveva battuto McEnroe alla finale di Wimbledon. Era il suo quinto successo consecutivo. 
Da lontano vedemmo arrivare un ragazzo. Camminava in modo disarticolato. Aveva un paio di occhiali con lenti spessissime. 
Il tipo si avvicinò a me. Forse aveva riconosciuto la mia voce. 
Disse poche parole. 
“So che Mantegazza e i suoi amici amano giocare. Le cose sono un po’ cambiate.” Mi guardò da dietro i suoi fondi di bottiglia. Intensamente. 
“Consiglierei al signor Mantegazza di prenotare nei giorni in cui il Rettore non è presente. I giorni sono il lunedì, il mercoledì, il venerdì. In quei giorni il signor Mantegazza sarà molto gradito.”
“Riferirò al signor Mantegazza che, anticipatamente, attraverso le mie parole la ringrazia.” risposi con un filo di voce. 
Il tipo assentì e si allontanò. 
Otello mi guardò e mi chiese. “ E adesso che facciamo?”
“Andiamo a farci un’altra granita.”

 

Non mi capita più spesso di passare davanti alla vecchia scuola. Ma quando accade, soprattutto nei mesi estivi, mi fermo. Hanno messo una copertura al cancello che introduceva al campo da tennis. Non si riesce a vedere nulla. 
Ma sento i colpi della pallina da tennis che schizza da una parte all’altra. Sento i gemiti del giocatore. 
E so che in quel momento Il Mantegazza è in campo. 
E sta giocando. 
Ancora.

 

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