«Hai fame?»

Dopo il primo incontro è venuta a casa mia. Abbiamo mangiato qualcosa insieme. Non importava cosa, importava stare insieme. Una decisione per allungare il tempo.

«Sei fidanzato, oppure sposato?»

«Lo sono stato».

«Sei divorziato?»

«È successo molto tempo fa».

«Sei ancora arrabbiato con lei?»

«No, sono passati secoli. Lei ormai è morta».

«Oh, mi dispiace».

«Tutti dobbiamo morire un giorno. Anch’io. E anche tu».

«Perché vi siete lasciati?»

Ricordi… Il boccone in gola che non scende, la pioggia, sorrisi, cena romantica.

«Perché l’amavo».

«OK, capisco». 

«Non credo».

«Perché dici così?»

Si è addormentata. Non ha aspettato la risposta. È sempre così, le risposte arrivano troppo tardi. Se arrivano prima non si crede che siano quelle giuste. Se arrivano tardi si conoscono già e non fanno altro che acuire la nostra negatività: rifiuto, incredulità, rimorso, dolore, diniego, rabbia, rassegnazione, senso di colpa.

 

Nome, data di nascita, sesso, segni particolari, residenza, documento rilasciato il GG/MM/AAAA, a XXX, valevole fino al GG/MM/AAAA. 

Sulla carta d’identità non c’è la data di morte. Nessuno può saperla e nessun documento può certificare in anticipo il momento in cui si cesserà di vivere, anche se è scritto da qualche parte che ciò accadrà. La cosa è altrettanto certa quanto il fatto di essere venuti al mondo. Eppure è così indefinita. Malattia, incidente d’auto, guerra, parto, suicidio, omicidio, fame, infarto: l’inizio e la fine sono accomunati dall’assenza di volontarietà. Anche in caso di suicidio, che in fondo è solo un errore di prospettiva.

 

«Hai dormito bene?»

«Sì grazie».

«Come ti senti? Hai deciso se vivere o morire oggi?»

Nessuno fa mai questo genere di domande al mattino. Suonerebbe folle o almeno incongruo. Non si decide di morire, si sceglie solo di non soffrire. Allo stesso modo, ci si lascia in vita perché non si soffre abbastanza.

 

Nessuna di loro mi ha mai chiesto se mi annoiavo con lei, dando per scontato che ci fosse tutto il tempo per farlo quando saremmo invecchiati. In un futuro imprecisato, ma pensato come fatale.

Non ci siamo mai chiesti, voglio dire vicendevolmente, se l’altro si sentiva solo, assumendo che lo stare insieme annullasse automaticamente la solitudine. Non è successo con nessuna. 

Tutto inizia e continua sempre con lo stare insieme, condividere il letto, la cucina, i film, le pulizie di casa, portare fuori il cane, lo shopping, le vacanze. Una comunione fatta di piccoli gesti quotidiani, provvisori, prevedibili e ripetuti, piccoli gesti in fondo noiosi, che si possono compiere anche da soli. Condivisi, essi si vestono di attese comuni e di mutuo conforto, si riempiono di valore. Il sole scompare ogni giorno, ma ammirare in due un bel tramonto assume un senso quasi soprannaturale.

Che cosa rende speciale quella donna o quell’uomo? Il corpo, l’odore della sua pelle, il sorriso, i suoi difetti, la voce o il modo di parlare, le cose che dice o quelle che non dice, il suo modo di camminare, i suoi capelli, il suo sapore? 

In un campo di grano le spighe sono tutte simili, indistinguibili l’una dall’altra. Perché scegliere di cogliere proprio “quella”?

 

«Amore, mi fai le polpette per cena?»

«Come le vuoi, fritte o al sugo?»

«Decidi tu».

«No tu. Sei tu che me le hai chieste».

«Allora falle al vapore, con poco olio».

«Ok, la ricetta di mia mamma».

«Dovrai insegnarla a Lisa».

«È ancora piccola. Aspetta ancora qualche anno».

«Lo so, ma tu insegnagliela. Da grande, si ricorderà di te quando le farà».

 

La musica, le cattedrali gotiche, quadri bellissimi, la matematica, libri pieni di parole e di idee, le macchine, le città: noi uomini abbiamo bisogno di queste cose per tramandare il sapere, per fare durare la memoria. Il mondo, invece, ricorda in altri modi, attraverso le stagioni e il susseguirsi di piccole vite insignificanti, senza gloria e senza presunzione. 

Durante i miei 3487 anni il mondo è cambiato appena impercettibilmente se comparato all’intera esistenza del pianeta. Per un’inspiegabile mutazione genetica, non sono più invecchiato da quando ho compiuto 35 anni. Ho imparato che cosa fosse la genetica solo nell’ultimo secolo. Ho dovuto cambiare molte volte il mio nome. E ho amato più di 200 donne: ogni volta una spiga diversa scelta in un campo di spighe tutte simili.

 

«A che cosa pensi?»

«Non so. Forse al passato».

«Quando nel passato?»

«Molto tempo fa».

«Perché pensi al tuo passato?»

«Non ho detto che penso al mio in particolare».

«Allora cosa in particolare?»

«…»

«Non sei obbligato a rispondere se non ti va».

«A settembre Lisa andrà all’asilo».

«A volte sei strano. Passi da un discorso all’altro, così, senza una logica».

«Hai ragione».

«E pensi anche a me ogni tanto?»

«Certo che penso a te. Sempre.»

«Bugiardo.»

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