Questa mattina ho rischiato di morire. E non lo dico per farvi pena, per farvi per un attimo pensare che io sia così depresso da volermi uccidere. Non sto parlando di questo. Non sto parlando del vostro labile desiderio di morire quando state male, ma che grazie a Dio si placa quando rischiate di morire sul serio. Sto parlando del caso, delle coincidenze, dell'episodio singolo, che può capitare.

08.17. Appena uscito dal cancello del mio condominio, 3 ore di sonno e molto più THC di quello che avrei potuto avere anche se mi avessero fatto gli esami del sangue una settimana dopo. Altamente triste per la serata insoddisfacente della serata prima.

Mi lamento tra me e me di come mi faccia schifo svegliarmi alle 07.30 di sabato mattina per andare a lavoro, poi penso che sto facendo tutto questo per andarmene via da dove vivo attualmente e, nel momento in cui lo sto pensando, mi immetto su una strada che sfocia in un incrocio di una via abbastanza trafficata, dove ci sono due semafori, uno per andare dritto e uno per svoltare a destra. Mentre realizzo il tutto il semaforo diventa giallo, e sono a 200 metri. Passo dalla quarta alla terza, i giri del motore si alzano da 2500 a 4000, la macchina mi inchioda leggermente al sedile.

50 metri dall'incrocio, scatta il rosso e, per quale strano motivo non so, decido di passarci, di andare dritto, schiacciando ancor più forte sul pedale, forse realizzando che se avessi preso quel rosso sarei arrivato in ritardo a lavoro.

A 10 metri dall'incrocio, a circa 70 chilometri orari, la mia coda dell'occhio vede un camion sulla sinistra che sta partendo, perché a lui è scattato il verde. Nello stesso istante la mia pupilla destra nota che un'altra macchina sta partendo per incrociare figurativamente il camion che andava verso la mia destra, mentre la macchina verso la mia sinistra.

Mi si ghiaccia il sangue, il mio corpo è sicuro che da un istante all'altro percepirà un colpo, solo non sa dove, con quale intensità e soprattutto dove andrà a sbattere la mia testa, che potrebbe essere vittima di un incidente mortale, o comunque causa di una possibile invalidità permanente a vita.

Sono al centro dell'incrocio, il camion è dietro di me, non mi ha toccato, la macchina che andava verso la mia sinistra si è fermata prima di prendere una velocità consistente. Sono nella corsia opposta, la mia macchina ha scariche frenanti in qualsiasi punto, lampeggiano diverse spie ed emette segnali acustici di pericolo.

Ho frenato in tempo e le altre macchine avevanoabbastanza poca velocità da potersi fermare per evitare l'impatto con il mio veicolo. Ma se così non fosse stato? Se non fossi riuscito a frenare? Se quel camion avesse avuto più ripresa? E se quella macchina fosse partita con più velocità? Sarei rimasto inerme, in mezzo alla strada, con la mia cintura legata attorno quasi a dare un leggerissimo senso di sicurezza a chi avrebbe trovato il mio cadavere. I miei dischi masterizzati nel sedile a fianco, i finestrini abbassati, i miei occhiali rotti, i miei capelli probabilmente slegati per via dell'impatto. Sangue un po’ ovunque quanto basta, gente che urla di chiamare i soccorsi.

E se nella macchina che andava verso sinistra ci fosse stato un bimbo nel sedile posteriore? Un neonato compresso all'interno della macchina della madre per via della violenza dell'urto, senza possibilità di emettere più versi, senza potersi vivere qualche anno in questo mondo.

Nello stesso istante, a circa 500 metri, mia madre dormiva tranquilla, perché era sabato mattina, perché la sera prima era uscita con il suo compagno e si stava riposando. A circa 10 chilometri di distanza, mio padre e mia sorella, totalmente ignari, riposavano sul divano dopo aver guardato un film. Il mio migliore amico, a 600 metri di distanza, forse si sarebbe svegliato per la violenza dell'impatto, ritornando a dormire senza preoccuparsi, sapendo che quelle cose non capitano a lui e a chi conosce, senza sapere che la causa di quell'impatto era proprio quella persona che con la quale sta facendo tanti progetti. A circa 4 chilometri di distanza, circa 10 minuti dopo, il direttore del posto in cui lavoro si sarebbe lamentato acidamente con i miei colleghi lì presenti per il mio ritardo, per poi scusarsi qualche ora dopo, una volta appresa la notizia e dopo aver immaginato il sangue nei miei occhi, con le dita sulle quali indosso gli anelli ancora immobilizzate sul volante. A centinai di chilometri di distanza, la ragazza che ho amato per anni, che è l'unica definizione che mi sento di dare quando mi chiedono se so cosa vuol dire essere stato innamorato, trascorreva tranquillamente la sua mattinata, senza sapere minimamente cosa mi fosse successo, forse senza neppure preoccuparsi troppo dopo aver appreso la notizia e senza aver voglia di presenziare al mio funerale una volta accertata la mia morte.

Nel mio PC, sul mio hard disk esterno, decine di canzoni e strumentali che mai sarebbero uscite, forse mai neppure registrate, destinate a rimanere semplici file all'interno di un PC una volta morto il loro creatore.

Io, con gli occhi spalancati verso il cielo, un taglio mortale all'altezza della gola causato dai pezzi di vetro del mio parabrezza, morto un secondo dopo aver commesso un omicidio colposo e aver ucciso un bambino di un anno assieme a sua madre.

La polizia giunta sul posto, con le lacrime agli occhi formate a metà dal dispiacere della morte delle persone e a metà dall'odio nei miei confronti, per aver provocato tutto ciò. Uno stupido ragazzo di provincia, diplomato al Liceo Scientifico delle Scienze Umane, senza un lavoro effettivamente con contratto e duraturo, con la patente presa da pochi mesi, che si è lanciato a 90 chilometri orari in un incrocio in mezzo al centro abitato, senza un apparente motivo, alle 8 e qualche minuto di un sabato mattina, mentre gli anziani guardavano i programmi di cucina sulla Rai e i giovani studenti delle scuole superiori scongiuravano i genitori di lasciarli dormire un altro po’ perché non avevano voglia di fare i compiti.

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