- Cosa prende signore?
La voce della cameriera lo scosse.
- Scusi?
- Cosa prende signore? Vuole che ripassi più tardi?
- Mi perdoni, ero distratto. Mi porti un cappuccino.
- Gradisce anche una fetta di torta? Abbiamo mimosa, crostata di mirtilli, ciambella alle mele, strudel, sacher torte.
- Mimosa, grazie.
- Grazie a lei signore.
Seduto a un tavolino vicino a un’ampia finestra Fernando osservava la pioggia. Aveva dimenticato l’ombrello in clinica, se ne era reso conto solo quando le prime gocce avevano cominciato a cadere. L’insegna luminosa e brillante del bar pasticceria dall’altro lato della strada gli era sembrata un faro nella tempesta dei suoi pensieri, tanto più che l’idea di inzupparsi non gli garbava per nulla.
Vittoria. Erano tre mesi che pensava a lei, tre mesi terribili senza di lei. Anche in quel preciso istante, mentre aspettava cappuccino e mimosa, la sua mente non riusciva a staccarsi dal quel viso amato. Oh sì, lui l’amava, lo sapeva sino allo strato più intimo del suo essere. Eppure aveva fatto di tutto per allontanarla. Odiava se stesso con una violenza inaudita che traboccava investendo con furia chiunque gli stesse vicino. Neppure lei era scampata al suo furore. Vittoria, la sola che negli ultimi dieci anni gli fosse sempre stata vicina, in silenzio, senza mai pretendere nulla, accettando i suoi continui sbalzi d’umore, l’unica che lo amasse incondizionatamente.
Il tintinnio del vassoio poggiato sul tavolino lo colse di sorpresa. Con gli occhi ancora pieni di ricordi guardò la ragazza che con grazia disponeva davanti a lui la tazza con il cappuccino, il piattino con la mimosa, la zuccheriera. Ringraziò con una voce che gli uscì come un urlo, spaventando la giovane cameriera. Che c’entrava quella povera ragazza con le sue pene? Si sforzò di sorriderle mentre si allontanava, afferrò la tazza e bevve d’un fiato il cappuccino bollente sperando di annientare con il dolore fisico le sofferenze dell’anima e del cuore. Una smorfia di dolore gli si disegnò in volto. Spostò la tazza vuota e con la forchettina cominciò a tormentare il morbido pan di Spagna senza decidersi a mangiarlo, sparpagliando nel piatto i soffici quadretti gialli.
Due ragazze che come lui erano state sorprese dalla pioggia entrarono di corsa nel bar ridendo mentre cercavano di scrollar via l’acqua dai capelli. I tavolini erano quasi tutti liberi ma chissà perché finirono a sedersi dietro di lui. Provò quasi fastidio, avrebbe voluto alzarsi e cambiar posto ma non si mosse e irritato iniziò a origliare. Gli arrivavano risate sommesse miste a frammenti di conversazione, parole sussurrate, bisbigliate, un fiume di parole d’amore. Stava violando la loro l’intimità, lo sapeva, eppure continuava ad ascoltare quasi cercasse di capire cosa potesse rendere raggianti , estasiati, felici degli esseri innamorati, quale fosse la magia che ti fa volare su una nuvola anche se non hai le ali. Anche lui era innamorato come quelle due ragazze, due fanciulline poco più che adolescenti. Cosa aveva perso lui? Cosa aveva inquinato, corrotto, indurito il suo cuore?
Nella testa continuavano a risuonargli le parole di Vittoria, quelle che lei gli aveva detto prima di andare via.
L'amore è involontario, non puoi opporti, anche se ti fa male, se ti ferisce o ti lacera l'anima. Tu puoi mandarmi via ma non puoi impedirmi di amarti. Non puoi impedirlo nemmeno a te stesso.
L'aveva guardata con ferocia, le aveva voltato le spalle ed era andato via. Non l'aveva cercata. Sperava che la lontananza cancellasse ogni traccia di lei. Ora sapeva che non era possibile, che non poteva dimenticarla. Vittoria faceva parte di lui, era l’essenza stessa della sua vita, non poteva negarlo. Era possibile tornare indietro? Sentì una gran pena e il cuore gonfio di pianto.
Si alzò, guardò le due ragazze e donò loro un sorriso che esse ricambiarono. Per un attimo si illuse che il loro entusiasmo potesse scaldargli l’anima.
Fuori aveva smesso di piovere, un arcobaleno stava gettando sulla città i suoi lampi di luce e colori. L'aria frizzante della primavera lo investì con la sua crudele allegria. Si abbottonò l’impermeabile e a passi rapidi si incamminò verso casa.