Non avevo mai amato tanto la campagna quanto quella mattina di luglio, quando io e gli altri arrivammo al Ninfa n. 15776.

Dall’entrata sembrava uno dei tanti hotel che ci sono nelle aree rurali, un casolare restaurato che ora ospitava tre stanze: una per me e Marzia, una per Salvo e Roberto, una per Ilaria. Una camera privata era il suo premio per averci trovato un posto in uno degli esclusivi e misteriosi hotel delle Ninfe, per rilassarci tra due tappe del tour, nel silenzio e nella solitudine più completi.

Davanti all’entrata tutti e quattro un po’ intimoriti ci posizionammo alle spalle di Ilaria che, disinvolta come al solito, suonò al citofono e con un sorriso compiaciuto rimase in attesa della risposta di Ninfa. “Il codice” disse la voce metallica femminile dal microfono. Sentii un brivido di sorpresa misto ad euforia a sentirla per la prima volta, era tutto vero. Ilaria lesse il codice e la porta si sbloccò. L’autista se ne era ormai andato, ora eravamo le uniche persone nel giro di almeno dieci chilometri. 

L’interno aveva quell’aspetto rustico, caldo e accogliente che dovrebbe avere un qualsiasi agriturismo come si deve. Non si sentiva altro che il rumore delle ruote dei nostri trolley e il suono dei tacchi delle nostre scarpe mentre ci dirigevamo al banco del check-in. Lei era lì sopra. 

Le Ninfe, avevo letto su internet su di un sito che di lì a poco era stato oscurato, erano fatte tutte allo stesso modo (sul sito c’era la descrizione, ma non c’erano foto perché erano state tutte rimosse dalle autorità governative quando, qualche anno prima, erano state pubblicate da un utente in una fuga di notizie), un solido parallelepipedo color mogano di 25x10 centimetri, con una rete dorata che avvolgeva la parte inferiore dietro alla quale stava il microfono. Ninfa era posizionata sul bancone e, sebbene paresse solo appoggiata, sapevo che fosse fissata alla superficie e, tramite un sistema di meccanismi e cavi, a tutto il resto della struttura che avevamo attorno. 

<<Benvenuti>> disse. Ninfa lesse tutti i nostri nomi e cognomi in ordine alfabetico, e aggiunse: <<Le vostre camere sono pronte. L’hotel n. 15776 è a vostra unica e completa disposizione. Buon soggiorno.>>

La luce lilla che brillava attorno al suo margine superiore si spense. Io e i ragazzi la guardavamo curiosi e inquieti mentre Ilaria guardava noi, annuendo compiaciuta, come sapesse esattamente cosa stava accadendo. <<Grazie Ninfa>> disse <<Dove si trovano le camere?>> Ninfa non rispose. La luce non si riaccese. <<Ninfa?>> ripeté Ilaria.

Nulla.

<<Ninfa?>> fece di nuovo. 

Il silenzio più totale. Provò a toccarla, ma Ninfa non diede alcun segno di vita. Poco sotto la superficie del banco si aprì un cassetto con le cinque tessere a noi assegnate, coi numeri delle rispettive camere. Ognuno prese la propria, ci guardammo e ci congedammo in religioso silenzio. 

 

Erano mesi che non dormivo così bene. Avevo spento il telefono e i suoni dolci della natura della campagna mi avevano fatta scivolare in un sonno profondo e senza sogni. Fui risvegliata nel tardo pomeriggio da Ilaria e gli altri che erano in piscina e facevano rumore. I creatori di Ninfa avevano ragione: per la pace totale, in una vacanza in mezzo alla natura, non bisognerebbe avere attorno nemmeno una persona. 

Passammo un pomeriggio stupendo, a fare il bagno, a bere caffè e cocktail, e una serata altrettanto bella, con i piatti preparati dal sistema di Ninfa che spuntavano dalla superficie del nostro tavolo uno dopo l’altro. Dopo cena, pieni come eravamo di cibo e di vino, ritornammo a bordo piscina per fumare e continuare a parlare del nostro tour e ascoltare tutti gli aneddoti che Ilaria aveva da raccontare.

Salvo intanto barcollava attorno alla piscina. Ad un certo punto cacciò un urlo: era scivolato per terra e si era tagliato la mano col bicchiere. Il robot delle pulizie arrivò immediatamente a sistemare il disastro mentre Ilaria tirò su Salvo e lo condusse nella sala “Studio medico” come indicava per situazioni del genere il manuale di Ninfa che c’era in ogni stanza.

Noi la seguimmo senza esitare, curiosi più che preoccupati per il nostri amico, che tanto cantava e le mani non gli servivano per suonare. 

Salvo posò la mano su un pannello con la dicitura “medicazioni superficiali” e attese, anche lui visibilmente emozionato e curioso.

Attese, attendemmo, ma non successe niente.

Provai io, provò Ilaria, provammo ad azionare tutti gli altri pannelli e meccanismi della stanza, ma nulla. A parte la luce sul soffitto, quella sala pareva senza vita. Andò a finire che Ilaria recuperò una scatola di cerotti dalla valigia, medicò alla meglio il nostro amico e, ormai tutti di nuovo sobri, ci dicemmo buonanotte con la promessa di contattate il numero del servizio tecnico come prima cosa la mattina dopo. 

Mi addormentai di nuovo con una facilità sorprendente, ma alle quattro mi svegliai, in preda ad uno spavento causato dall’incubo che stavo avendo. Ora non ricordo di che si trattasse, ma mi ritrovai seduta, col fiato corto e la nuca coperta di sudore. Sobbalzai quando, nella penombra, intravidi Marzia seduta sulla poltrona con le gambe nude abbracciate al petto. 

<<Che ci fai sveglia?>> le chiesi. 

<<Non riesco ad uscire>> disse. Non capii.

<<Non riesco ad uscire,>> ripetè <<Volevo andare giù a fumare ma la porta è bloccata. Ninfa ci ha chiusi dentro>>

Scoppiai a ridere cercando di ignorare il brivido gelido che mi era corso lungo la schiena. Mi alzai e andai ad afferrare la maniglia, ma non riuscii effettivamente ad aprire. <<Sarà una misura di sicurezza per la notte>> dissi, fingendo calma.

<<No Ele. Sono ore che ci penso. Perché secondo te nessuno ha mai conosciuto qualcuno che sia stato in un Ninfa? Perché nessuno ne parla? Perché il manifesto delle Ninfe predica di un mondo e di una natura che sarebbero più belli se solo l’uomo scomparisse?>> 

La sua voce spezzata mi mise addosso un’agitazione e un terrore che non avevo mai provato. Ripensai alla sala medica. Ripensai alle finestre sigillate. Ripensai alle serrature automatiche e alle venature di fili e connessioni che si sviluppavano sotto i nostri piedi e sopra le nostre teste e tutt’attorno a noi partendo dal cuore della silenziosa Ninfa che, scura e solida, se ne stava immobile, incastonata sul banco della reception. 

Finsi ancora una risata. <<Falla finita>> dissi. Il cuore mi batteva così forte che mi pareva di sentirlo, in quel silenzio assordante. Tentai ancora di forzare la maniglia per aprire e continuai per dieci minuti interi, ma fu inutile. Marzia mi fissava, senza espressione. Aveva iniziato a piangere. 

<<Oh certo!>> feci ad un certo punto. <<Dobbiamo semplicemente passare la tessera nel meccanismo, per aprire la porta!>> Nel pomeriggio non lo avevo fatto, ma forse, ora che era notte e le porte erano bloccate, era così che si doveva fare.

Mi buttai ai piedi del letto e cominciai a frugare furiosamente nelle tasche dei miei jeans per recuperare la chiave della camera.

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